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Giulio Barni
Il tempo
Da 'Le notti chiare erano tutte un'alba'. Antologia di poeti italiani nella Prima guerra mondiale. A cura di Andrea Cortellessa.
segnalato da Emilio De Simone
Se il tempo diventa sereno
il 10 faremo l'azione
se il tempo diventa sereno...
Ed i soldati scrutarono
le stelle e il firmamento,
pesarono respirando
il fremito del vento.
Ma il 9 si vide splendere
un cerchio intorno alla luna
la luna era velata
d'un velo nebuloso.
I soldati e gli ufficiali
che stavan da 30 giorni
in attesa dell'azione
si guardarono l'un l'altro
si sarebbero baciati.
All'alba del 10 pioveva.
1916
Nevio Gàmbula
"Ebbene, non ci faremo scrupoli.
Chi non sarà con noi
verrà passato a fil di spada"
(William Shakespeare, Macbeth)
segnalato dalla redazione
PARTE PRIMA. UN RACCONTO PARZIALE (DAL VIVO - E DA VIVO)
Genova, luglio 2001: va in scena il terrore di stato. Venerdì 20 la città è
spettrale, bellissima. Per le strade soltanto poliziotti e persone venute a
Genova per gridare il loro "No" agli 8 Grandi. Qui è la realtà, mi dico, qui
si mostra la vera faccia del controllo. Si cammina veloci, nel timore di
venire fermati e perquisiti. Puntiamo al concentramento di piazza Paolo Da
Novi, una delle "piazze tematiche" (quella sul lavoro, organizzata da Cobas
e Network dei diritti globali) da cui si tenterà l'assedio e l'invasione
della zona rossa. Ogni strada è presidiata. Da tre delle quattro strade che
permettono l'accesso alla piazza è impossibile entrare: lo schieramento di
blindati e di uomini in divisa è impressionante. Dalla quarta strada fanno
entrare a piccoli gruppi. Nella piazza alcune migliaia di persone, fuori
altrettante che spingono per entrare. Partono le prime cariche. Confusione.
Nessuno capisce o dà lumi su cosa fare (carenze da gestione della piazza),
ma tutti si rendono conto che la polizia vuole evitare che si formi un
corteo potenzialmente fastidioso. Una parte fugge verso la stazione
Brignole, noi seguiamo quelli che si spostano verso il mare, in direzione di
piazzale Kennedy. Qualcuno, di nero vestito, e sconosciuto ai più, spacca le
vetrine di una banca. Si corre, ordinati. 3-4 mila persone. Percepiamo
chiaramente che dietro di noi la polizia sta caricando, si vedono i
lacrimogeni, i blindati, gli scudi che avanzano; e si capisce che c'è un
servizio d'ordine improvvisato che sta cercando di rallentare le cariche,
difendendo il corteo per permetterne il deflusso.
Arriviamo in Piazzale Kennedy. La polizia si porta sin sotto il cancello da
cui si accede all'enorme piazza, che è poi uno dei punti d'incontro del
Genoa social forum. Ci si barrica dentro. Lacrimogeni in quantità. Acqua
sugli occhi, per limitare i danni. Poi un periodo di calma relativa. Dai
telefonini e dalla radio veniamo informati di scontri in altre parti della
città, pare ai danni dell'altro spezzone di corteo che sarebbe dovuto
partire da piazza Paolo Da Novi. In diversi punti della città il Black bloc
distrugge ciò che capita a tiro, disinteressandosi alla polizia (sembra che
il disinteresse sia ricambiato). Nel primissimo pomeriggio, i diversi
spezzoni si ricompattano proprio dove siamo noi. Intanto veniamo a sapere
che dallo stadio Carlini è finalmente riuscito a partire il corteo delle
"Tute bianche", in tutto 15 mila persone. Si riparte anche noi, 8-10 mila
persone. Direzione zona rossa.
Nei pressi ricominciano le cariche. L'intento della polizia è evidente:
evitare ogni avvicinamento alla zona protetta. Il corteo, questa volta
compatto, reagisce. La polizia fatica a tenere la piazza. Sono diverse le
strade teatro degli scontri, tutte una vicina all'altra, e tutte vicine al
grande corso per il quale si sta avvicinando il corteo delle Tute bianche.
Preventivamente, per evitare cioè che questo corteo si unisca all'altro che
già si sta scontrando con la polizia, i Carabinieri partono alla carica. Le
Tute bianche indietreggiano, evidentemente stupite, loro abituate agli
scontri "concordati" (sono soliti dar vita ad una sorta di sceneggiata di
piazza, concordando con la polizia le modalità); si organizzano, si
proteggono dalle cariche, molti di loro si buttano nella mischia. Nel punto
in cui si incontrano i diversi spezzoni di manifestanti i Cc sono in
difficoltà. Brucia un blindato. Si avanza, la polizia indietreggia.
Lacrimogeni, pietre, blindati in corsa, molotov. Gli scontri sono durissimi.
Due ore di scontri continui. Come ad un unico segnale, iniziamo a
indietreggiare. La polizia avanza, carica ripetutamente con i blindati sulla
folla. Si corre con gli occhi chiusi per i gas. Paura, panico. La coda del
corteo dove mi trovo prova a limitare i danni, coprendoci la fuga. Pietre,
barricate improvvisate con cassonetti, corsa indietro.
Cinque o sei camionette dei Cc superano lo schieramento dei militi a piedi,
si buttano sulla folla. Una resta imbottigliata. Viene assassinato Carlo
Giuliani, ragazzo di 23 anni. Subito non ci rendiamo conto di quanto è
successo, i lacrimogeni impediscono di vedere alcunché. Continuiamo a
correre, finché sbuchiamo in un grande corso, lo stesso delle Tute bianche.
Ora siamo tutti insieme. Stanchissimi. Davanti all'unico enorme corteo
ancora scontri. La polizia avanza in forze, blindati e blindati e idranti e
lacrimogeni e manganelli. Si retrocede puntando verso lo stadio Carlini.
Comincia a girare la voce del morto. Qualcuno si fa prendere dalla rabbia e
corre con pietre nella mano verso i poliziotti. Altri, ed io fra questi,
vengono presi dall'angoscia. Un morto. Arriviamo al Carlini. Stravolti.
Cominciano ad arrivare notizie. Anche altre "piazze tematiche" hanno
ricevuto lo stesso trattamento dalla polizia; ma senza reagire. I feriti
sono tantissimi, anche gli arrestati. Si improvvisa una assemblea al
Carlini. Gli animi sono caldi. Mi scoppia il cuore, e m'incazzo non poco,
quando viene data la notizia (falsa com'era ovvio che fosse) che in seguito
alla gravità dei fatti Berlusconi avrebbe sospeso il vertice: tutti cantano
in festa, io ho la morte nel corpo. Resto con la testa bassa per un po'.
Voglio andarmene. Impossibile, la polizia sta facendo retate, malmenando chi
trova. Resto al Carlini. E cominciano a venirmi dei grandi dubbi.
Forse qualcosa non ha funzionato, forse gli obiettivi di questa giornata
erano sbagliati, o forse erano giusti, ma i modi di affrontarli non
adeguati. Mi addormento. L'alba è spettrale a Genova, sabato 21 - e Genova è
bellissima. Quintali di carta da leggere, tutti i quotidiani, tutti con la
foto della morte in copertina. E tutti ad incolpare il "Blocco nero". Una
verità, ma anche un capro espiatorio, mi dico. Ci si muove in piccoli gruppi
verso il concentramento della manifestazione pomeridiana. Le strade che
percorriamo sono le stesse degli scontri del giorno prima: macchine bruciate
e vetrine in frantumi; tutto il resto è stato diligentemente pulito. Sul
lungo mare si capisce che la manifestazione sarà grandiosa. Sono
preoccupato. Non c'è un servizio d'ordine credibile. Dove sono i Black? Cosa
succederà? Mi guardo gran parte del corteo passare, issato su una grata.
Scendo e cammino a fianco dello spezzone di Rifondazione e di quello dei
Cobas. Ed ecco che un gruppo di "neri", venti persone, non di più, tenta di
oltrepassare i cordoni dei Cobas e del Network: volano mazzate. Schiaffi a
qualche "nero" da militanti di Rifondazione. Ma passano lo stesso, in un
altro punto; c'è troppa gente e tutti sono disorganizzati.
Davanti ad una caserma dei Cc tutti, me compreso, gridano "Assassini". Parte
un lacrimogeno. Avvisaglie. Intanto, piazzale Kennedy è invaso dai
lacrimogeni. Cosa sta succedendo? Sembra che una decina di persone si siano
avvicinati ai poliziotti schierati e abbiano lanciato qualche pietra. È la
scintilla. Scontri. Il grande corteo viene spezzato in due dalle cariche.
Siamo fermi sul lungo mare, corso Italia. I blindati avanzano, velocissimi.
Lacrimogeni, una infinità. Si tenta di tornare indietro, ma nessuno si
muove: dietro, alle nostre spalle, sono schierati reparti di celerini che
stanno caricando a piedi. Dagli elicotteri altri lacrimogeni. Nessuna via di
fuga. Davanti la polizia. Dietro la polizia. Sulla destra un muro altissimo.
Sulla sinistra una specie di collina circondata da una rete metallica.
Panico. Urla disperate. Lacrimogeni da tutti i lati. Qualcuno apre un varco
nella rete. Si sale ad occhi chiusi. Ci si ritrova in cima alla collina.
Sotto, lontana, la spiaggia. Si improvvisa un sentiero, finché, sfiniti,
arriviamo sulla spiaggia. In mare ben 22 tra motovedette della guardia di
finanza e gommoni dei carabinieri. Qualcuno, dall'alto, ci avvisa che stanno
per sbarcare. Altra corsa. Poi tutto si calma. Due ore terribili.
Si cercano gli amici dispersi, si telefona a casa per rassicurare, si
ascolta la radio per sentire cosa succede nel resto della città. Scontri in
diversi punti. Ancora il "Blocco nero", si dice. Una verità, ma anche un
capro espiatorio, rispondo. Riprendo la strada di casa. Il cerchio si chiude
in autostrada, quando alla radio sento del blitz alla scuola Diaz. Ora tutto
mi è più chiaro. Una precisa volontà di bloccare sul nascere un movimento
potenzialmente pericoloso per i giochi dei Grandi.
PARTE SECONDA. UN COMMENTO (IN ORDINE SPARSO)
Un errore strategico mastodontico è stata la parola d'ordine lanciata a gran
voce, anche mediaticamente, dai vari portavoce del Gsf: invadere la zona
rossa. E non perché quell'obiettivo non fosse, in linea di principio,
condivisibile, ma perché, se veramente si voleva andare in quella direzione,
bisognava prima contarsi, poi contare le forze dell'avversario, fare
due-più-due e poi, se se ne ravvisavano le condizioni in merito ai rapporti
di forza, andare in quella direzione in modo organizzato, preparandosi
adeguatamente alla gestione della piazza. I preparativi della "invasione"
sono stati invece a dir poco ridicoli, con training nonviolenti che a nulla
servono per fermare i blindati, o con quegli scudi di plastica esibiti
davanti alle telecamere con la faccia da grande rivoluzionario, ma che negli
scontri di piazza servono veramente a poco, e soprattutto se gli scontri non
sono "concordati" - servono solo per chi è abituato a fingere lo scontro, o
ad evocarlo nei salotti. Ripartiamo da questo tragico errore di valutazione.
Prendiamoci le nostre responsabilità.
Carlo Giuliani è morto anche a causa nostra, e proprio perché ognuno di noi
ha creduto nella giustezza di praticare la "invasione della zona rossa",
senza neppure immaginare che lo stato non ce lo avrebbe permesso, anzi; e
quasi certi che sì, ci sarebbero stati degli scontri, ma niente di
trascendentale, avanti per qualche metro, uno due tre lacrimogeni, indietro,
poi di nuovo avanti, polizia che indietreggia e noi a gridare di gioia e i
nostri leader a tirare commenti di vittoria: ci siamo riusciti, ci siamo
avvicinati oltre il punto in cui "loro" ci volevano chiusi (come è successo
a Milano contro i lager per stranieri, o a Bologna per la riunione Ocse) .
No, non siamo stati capaci di cogliere i segnali di netta chiusura del
governo nei confronti delle piazze tematiche: nessun assedio o invasione
della zona rossa era possibile venerdì 20. Certo, ci si poteva organizzare
meglio. Ci si poteva, tutti quanti, dotare di strumenti atti a raggiungere
lo scopo - un apposito ed efficiente servizio d'ordine, ad esempio. Ma ciò
non è avvenuto, non lo volevamo. Noi ci siamo detti convinti che ci si
sarebbe fermati tutti al livello della finzione, o poco più in là, "loro",
polizia e carabinieri, sono stati molto reali. Avventurismo - ecco, è questo
il termine con cui mi viene da chiamare questo nostro errore. Un
avventurismo che ha "contribuito" ad uccidere uno di noi.
Carlo Giuliani era uno di noi. Era per le strade di Genova per cercare "un
altro mondo", magari con la confusione dei vent'anni o con l'assoluta
mancanza di ogni minima razionalità adatta allo scopo, ma era lì per questo.
Stava difendendosi da una serie ripetuta di attacchi da parte dei Cc. Stava
cercando di limitare i danni, di fare evitare a me, e a molti come me, di
finire sotto le ruote dei blindati o sotto i colpi dei manganelli. Io ero a
pochi metri da lui, scappavo dalle cariche. Lui era davanti, reagiva con
rabbia a quanto la polizia aveva messo in atto fin dalla mattina. Ma,
diciamocelo chiaramente, tutti noi eravamo lì per l'Obiettivo Primario dell'
invasione. Cosa ci aspettavamo, che la polizia ci facesse ciao ciao con la
manina accompagnandoci dentro? Fin dalla mattina hanno messo in atto tutta
una serie di interventi preventivi: container apparsi dal nulla ad allargare
ancora di più la zona rossa, cariche per spezzare in più tronconi il corteo
Cobas + Network (il primo a partire), presìdi duri e impenetrabili nelle
strade adiacenti, allontanamento violento dalle zone calde degli spezzoni
ormai isolati tra loro. Ecco, forse, vista l'assoluta disparità delle forze
in campo, nella pausa tra le 13 e le 14,30 bisognava trovare una soluzione
geniale per evitare quello che poi è successo il pomeriggio. Forse potevamo
essere in grado di tirare fuori dal cappello un asso da calare sul tavolo e
spiazzare l'avversario, chessò, concentrarci tutti in un unico punto e dare
vita ad un grande e unitario "assedio" (che è altra cosa dalla "invasione").
Ma per fare ciò ognuno doveva rinunciare ad un pezzo della propria identità.
Non eravamo pronti.
Il nostro grado di coscienza non ce lo ha permesso. Ognuno è andato a testa
bassa verso la zona rossa con un doppio obiettivo: l'invasione e l'
affermazione della propria particolarità. È successo quello che è successo:
la morte. Certo, a quel punto era giusto difendersi. Niente da dire. Anzi,
nel pomeriggio di venerdì la reazione a Ps e Cc è stata di massa, compatta,
anche esaltante. Però non è bastato ad evitare la morte, né ad invadere
alcunché. Una sconfitta. La partecipazione dei 300 mila al corteo di sabato
è un segnale importante, ma non possiamo nasconderci dietro a loro per
omettere la sconfitta per gli obiettivi della "3 giorni" genovese. Giovedì c
'era l'obiettivo di una grande manifestazione per i diritti dei migranti:
obiettivo raggiunto, manifestazione stupenda. Venerdì era la volta dell'
assedio e dell'invasione: obiettivo fallito, con la morte dentro ognuno di
noi. Sabato si voleva fare un corteo unitario, pacifico, immenso: il corteo
non si è concluso, la polizia ha fatto quello che ha voluto. Restano le
persone presenti - ma solo quello. Una sconfitta. Speriamo anche un punto di
partenza per evitare futuri e più tragici errori.
PARTE TERZA. TUTTO IL NERO DEL MONDO
Il "Blocco nero" non esiste. Il "Blocco nero" sono loro. Il "Blocco nero"
siamo noi. Vediamo se riesco a spiegare queste tre tesi. Tutti gli
osservatori sono concordi nell'affermare che quanto successo a Genova era
voluto: la polizia, e ovviamente il governo, hanno cercato in tutti modi lo
scontro. È da settimane che si susseguivano perquisizioni, controlli di ogni
genere, le frontiere erano bloccate, Genova militarizzata con ogni mezzo
disponibile, missili compresi; e poi dichiarazioni bellicose di ministri
sottosegretari portaborse vari sulla necessaria fermezza contro i non meglio
identificati "violenti" e sui morti probabili, per non dire poi dei vari
dossier di servizi segreti digosauri e affini. C'erano, insomma, tutte le
avvisaglie di una chiusura netta nei confronti del movimento.
Il "Blocco nero" è diventato, dopo i primi scontri nella mattinata di
venerdì, un capro espiatorio, e proprio perché se l'intenzione di polizia e
governo era quella di andare comunque allo scontro, anche se il Block non
fosse stato presente avrebbero trovato un pretesto, uno qualsiasi, dall'
autonomo violento, all'anarchico alla "Tuta bianca" impazzita. Un capro
espiatorio, null'altro. È vero, i ragazzi del "Blocco nero" erano presenti,
ed hanno realmente spaccato vetrine; senza un senso che non fosse lo
spaccare per lo spaccare. Ma non dimentichiamolo: il primo e ben più
pericoloso Blocco nero sono proprio loro, i Grandi che non smettono neanche
per un attimo la loro opera di distruzione sistematica di risorse, di
popoli, di terre, che non smettono mai di fare di ogni angolo del mondo
terreno di conquista e di "valorizzazione" (dicasi profitto). E poi ci sono
gli altri, i servi dei Grandi, dagli uomini politici sempre attenti a
conservare i loro privilegi alle forze del disordine in tuta nera (i Cc
vestono così) o in tuta blu (la polizia di stato) o in tutta
grigio-verdognola (la guardia di finanza).
Brecht disse che è criminale non chi ruba in una banca, ma chi la banca la
fonda; forse lo stesso rapporto andrebbe riproposto tra chi usa la banca (il
capitale finanziario) per affamare i tre quarti del mondo e chi sfascia le
vetrine di una filiale. Certo, Brecht non teorizzava il furto, constatava
soltanto una diversa qualità delle due azioni; così come io non mi sognerei
mai di teorizzare, per cambiare il mondo, lo sfasciamento di vetrine. Furto
e pietre contro le vetrine sono azioni individuali, risolvono la propria
individuale situazione economica o il proprio ego ribelle, non sono
espressione di un progetto, e dunque non portano da nessuna parte. Ma
restano ben piccola cosa, infima direi, in rapporto alla pratica di
distruzione costante del Blocco nero dei Grandi. Resta il fatto che il Black
bloc si è prestato ad un gioco sporco, che non solo ha legittimato le botte
agli altri manifestanti, ma servirà in futuro per rivendicare la
militarizzazione di ogni forma di protesta.
Veniamo alla terza tesi, quella che recita: il "Blocco nero" siamo noi.
Alcuni ragazzi vestiti di nero erano con noi. Fuggivano insieme a noi,
impauriti. Altri hanno distrutto tutto quello che hanno potuto. C'è una foto
interessante, apparsa in diversi quotidiani di domenica mattina. Un ragazzo
di nero vestito, col volto coperto e con un bastone in mano, in piedi su una
macchina rovesciata col pugno chiuso lanciato verso il cielo. Accanto all'
auto un altro ragazzo inginocchiato, col viso coperto anche lui. Ha in mano
una bandiera che riporta la scritta "Tkp", che credo sia "partito comunista
turco". Uno degli spezzoni caricati nei pressi di piazzale Kennedy nel
pomeriggio di sabato 21 era proprio quello dei turchi. Lui e i suoi compagni
hanno probabilmente reagito, abituati, loro, ad uno stato di polizia ben più
pesante che il nostro. Passando per le strade di Genova alla fine di tutto
sulle barricate erette con cassonetti, auto rovesciate ed altro stavano,
ancora su e ben visibili, cartelli con scritte in greco, di un gruppo di
estrema sinistra. Altre foto inquadrano giovani mentre si scontrano con la
polizia e che indossano l'abbigliamento da Tuta bianca che spesso è stato
mostrato da televisioni e giornali: casco, maschera antigas, paracolpi,
scudo. Anche loro del "Blocco nero"? Altre foto mostrano ragazzi dietro
barricate che sollevano al cielo bandiere rosse - i ragazzi del Black bloc
non lo farebbero mai. Anche i curriculum degli arrestati parlano di ragazzi
dei centri sociali, di persone incensurate senza collocamento preciso, di
provenienza politica varia. Per non dire poi di cosa visto direttamente in
piazza, dai giovani baschi ai socialist workers inglesi, dai sindacalisti di
base italiani ai lavoratori brasiliani.
Ma allora, forse, le persone che hanno reagito alle cariche della polizia
non erano del "Blocco nero", oppure, se si accetta la versione dei media che
mette in relazione gli scontri con i Black, be', allora siamo tutti del
"Blocco nero". Tutti quelli come me che venerdì pomeriggio, di fronte alla
polizia, non hanno fatto un passo indietro, sono rimasti fermi, magari senza
tirare una pietra, ma fermi a fare numero, e grati a chi davanti aveva il
coraggio e la forza di difenderci . Non è cosa nuova trovare un capro
espiatorio. Serve a pulirci la coscienza. Ai democratici in pantofole serve
a dire che i cattivi, di nero vestiti, sono pochi e magari agenti
infiltrati; serve ai rivoluzionari sempre pronti ad esaltarsi per
passamontagna sul viso soltanto se chi lo fa sta a migliaia di chilometri di
distanza; e serve, in particolare, ad aprire divisioni interne al movimento
tra chi ritiene legittima la reazione alle angherie della polizia e chi
invece sceglie di porgere l'altra guancia, tra chi accetta la mediazione
istituzionale e chi invece ritiene che si siano chiusi gli spazi per ogni
mediazione.
La partecipazione agli scontri di venerdì pomeriggio di migliaia di persone
(ben oltre i 3-400 del Black bloc) dovrebbe far riflettere. Forse questi
rifiutano, perché perdenti, tutte quelle pratiche che il Gsf ha voluto
chiamare di "disobbedienza civile" - ritenute inutili rispetto agli
obiettivi o spesso percepite come cedimento verso un riformismo che ha
dimostrato chiaramente i propri limiti e la propria capacità di intaccare i
meccanismi economici sociali e politici contro cui si vorrebbero lanciare.
Poche palle: quelle migliaia di persone disposte allo scontro sono parte
integrante del movimento. Non hanno un progetto di trasformazione che le
accomuni, è evidente, e corrono il rischio di andare allo sbaraglio contro
un apparato militare troppo grande per loro. Ma è sensato tacere della loro
esistenza o contribuire alla loro criminalizzazione? Io sono stato con loro
tutta la giornata di venerdì e non li ho percepiti come degli estranei,
anzi, mi sono mosso a mio agio, pur tra le mille differenze di impostazione
e di strategie. Tra questi, ed in particolare tra i Black, c'erano degli
infiltrati, sbirri o fasci che fossero. Sicuramente. Quando mai non è stato
così?
Uno sbirro che vuole fomentare o semplicemente tenere meglio sotto controllo
non si infiltra tra i buoni riformisti alla Attac. Sceglie i settori più
turbolenti o quelli realmente pericolosi per lo status quo. Il "Blocco nero"
, a Genova, dava le giuste garanzie. Ad analizzare i fatti nel loro
svolgersi, e a viverli dal vivo nella mattinata di venerdì, mi è parso che
in realtà il lavoro degli infiltrati fosse più di contorno che non di vero e
proprio motore di azioni. Come se si fossero limitati ad orchestrare. Si
sono trovato servito in un piatto d'argento (dai Black) lo sporco lavoro che
avrebbero dovuto compiere loro. Euforia allo stato puro. In ogni caso, e
questo, è bene ribadirlo, non è colpa dei Black quanto accaduto a Genova. È
colpa del governo e delle forze di polizia. Loro, i Black, quelli veri, gli
sfasciavetrine, hanno sicuramente contribuito ad esasperare la situazione,
ma quello che è successo sarebbe accaduto lo stesso, e proprio perché era
quello che si voleva accadesse.
PARTE QUARTA. STATO DI POLIZIA
Genova come conferma della tendenza attuale alla chiusura degli spazi di
agibilità politica per ogni forma di dissenso, anche di quello più morbido e
disponibile a concordare con le istituzioni la propria espressività. L'
avvento del governo di centrodestra velocizza una tendenza alla
militarizzazione della società ormai in atto da tempo, e proprio tale
militarizzazione è un tentativo di dare soluzione alla crisi attraversata
dai modelli istituzionali atti a controllo sociale e regolazione dei
conflitti. In particolare, se si pensa alle "misure antipopolari" che sarà,
per il governo (del capitale), necessario attivare, e con la relativa
potenziale apertura di spazi conflittuali nuovi, la militarizzazione diventa
uno strumento di stabilizzazione. Genova è una dimostrazione di questa tesi,
così come Napoli e Göteborg ne sono stati l'anticipo. Non è cosa nuova, si
dirà. È vero: sempre, nei periodi di crisi, si assiste a una
militarizzazione della politica e, come suo corollario, alla
politicizzazione delle forze di polizia in senso fascista.
Basterebbe uno sguardo anche sommario allo svolgersi dei fatti tra il
"biennio rosso" 1968-69 e la metà dei settanta per verificare questa tesi.
Io ho avuto l'impressione che Genova sia stata una operazione preventiva,
come un segnale dato a quei settori che più sarebbero tentati di porsi
contro una determinata politica economica e sociale. Un "avvertimento".
Pesante, come ogni avvertimento che si rispetti. La polizia ha caricato con
brutalità, ha lanciato i blindati sulla folla, ha sparato, ha torturato. La
polizia ha mostrato semplicemente il suo vero volto, che è, da sempre,
quello del fascista pronto a difendere lo stato delle cose con ogni mezzo a
disposizione. E non ha fatto tutto ciò perché trascinata sul terreno dello
scontro da qualche centinaio di Black. No. Ha costruito pazientemente la
tela, sfruttando l'occasione per tendere la sua trappola infame. L'agguato
in stile cileno alla scuola Diaz si può decifrare soltanto a partire da
questa premeditazione. Senza questa volontà, e sotto ogni punto di vista,
anche del più accesso sostenitore della repressione dei moti di piazza,
quanto accaduto alla Diaz non avrebbe avuto senso.
Ci si può scommettere senza paura di perdere: ogni manifestazione futura,
magari contro la "finanziaria" in autunno, sarà militarizzata; il controllo
poliziesco di ogni oppositore, anche istituzionale, sarà rafforzato; ogni
voce fuori dal coro riceverà visite sgradite. Se i contrasti interni alla
configurazione geopolitica imperialistica hanno riportato all'ordine del
giorno la guerra come soluzione per stabilire chi domina e chi è sottomesso,
i fondamenti dell'equilibrio politico e sociale interni ad ogni porzione
nazionale di capitale andranno ribaditi con la forza dei blindati. A
scapito, ovviamente, di chi vive sulla propria pelle l'aggravamento delle
condizioni di vita e che magari decide di far sentire la propria voce.
Genova ha confermato questa tendenza. Dovevamo proprio cadere in questa
trappola?
PARTE QUINTA. IL POSITIVO
Germi di resistenza alla tendenza evidenziatasi a Genova sono visibili.
Pochi, in verità, ma visibili. Uno di questi è certamente il moto di ripulsa
a quanto accaduto, che non ha faticato a tradursi in partecipazione alle
manifestazioni dei giorni dopo i fatti tragici, ultimo quello alla scuola
Diaz. Resta il nodo del tipo di politica portato avanti dal Gsf. È
necessario fare un bilancio di quanto accaduto, ed è necessario farlo con
serenità, senza la voglia di dover a tutti i costi indicare un colpevole o
scegliere scorciatoie che semplificano, ma non danno spunti per capire e
passare oltre. Non sarà facile, almeno nell'immediato, mettere mano ai
contenuti che hanno contraddistinto questo variegato movimento. Saremo come
"costretti" a puntare il nostro discutere su quanto accaduto nelle strade di
Genova. È normale che sia così, vista anche la gravità dei fatti. Ma anche
queste discussioni possono giovare all'apertura di spazi di crisi capaci di
intaccare il senso comune dominante nel Gsf. A partire, ad esempio, dal
ruolo che lo stato, e i reparti militari preposti al controllo sociale,
giocano nella difesa degli interessi della classe dominante.
Pur avendo vissuto sulla propria pelle l'effettiva natura di questi corpi,
speciali o non speciali, le migliaia di persone, ed in particolare di
giovani presenti a Genova, saranno presto tentate dalle sirene istituzionali
che predicheranno quanto accaduto come un fatto estemporaneo, dovuto all'
incoscienza di un manipolo di poliziotti deviati; già si possono intravedere
alcune indicazioni in tal senso. Dovremmo avere la forza di dimostrare che
quel tipo di atteggiamento repressivo non è una eccezione, ma è invece la
norma. Non viviamo in una società che ha superato distinzioni per ceto o
classe, al contrario. Come bene hanno evidenziato un po' tutte le componenti
del Gsf, questo mondo non è un mondo dove la giustizia sociale è di casa. È
normale, in un mondo così gerarchizzato, che chi detiene il controllo dei
meccanismi economici e politici detenga anche il monopolio della forza. Le
forze dell'ordine servono per l'appunto a mantenere l'ordine: di chi sta al
potere, ovviamente. Genova ha anche dimostrato come neppure il Parlamento
può controllare l'operato della polizia. Certo, non tutto, nelle
istituzioni, garantisce l'impunità a tali nefandezze.
Il processo di rafforzamento in senso militare dell'esecutivo e della
società è ancora in corso e permangono spazi di possibile difesa dell'
agibilità politica. Anche la sostanziale smerdata della magistratura
genovese alle giustificazioni poliziesche è sintomo di contraddizioni e di
processi ancora irrisolti (e difatti il governo correrà ai ripari con la
sottomissione della magistratura alla politica, ossia a se stesso). Vedremo
come andrà a finire. Ma dicevo della politica del Gsf. Sembra che l'
intenzione sia rendere questo un organismo stabile, che intervenga nella
società a partire dai temi che ne hanno permesso la nascita e il
rafforzamento. Dare continuità al "movimento antiliberista", oltre Genova.
Bene, purché si parta dall'analisi feroce degli errori. Altrimenti, se si
continua, come diverse componenti del Gsf stanno facendo in questi giorni, a
dire che "il movimento ha vinto" tralasciando il dibattere sugli errori
commessi, saremo condannati non solo a rincorrere date e temi imposti dagli
stessi Grandi contro cui si vorrebbe agire, ma, cosa ben più grave, anche a
cadere nelle loro trappole mortali.
Giovanna Pandozy
Il telaio dell'infinito
segnalato da Giovanni Amodio
Posso dirvelo in confidenza: l'anima è immortale, anche se ciò pare strano a voi e a me, ed esiste un senso preciso per quanto accade nel mondo stabilire quale esso sia è tutt'altra cosa.
-
Settimana dell'amicizia
segnalato da P. Rubbiani
Se si potesse ridurre la popolazione del mondo intero, in un villaggio di
100 persone mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti al mondo,
questo villaggio sarebbe composto da:
57 Asiatici
21 Europei
14 Americani (Nord Centro e Sud America)
8 Africani
52 sarebbero donne
48 sarebbero uomini
70 sarebbero non bianchi
30 sarebbero bianchi
70 sarebbero non cristiani
30 sarebbero cristiani
89 sarebbero eterosessuali
11 sarebbero omosessuali
6 persone possiederebbero il 59% della ricchezza del mondo intero e
tutti e 6 sarebbero statunitensi
80 vivrebbero in case senza abitabilita
70 sarebbero analfabeti
50 soffrirebbero di malnutrizione
1 starebbe per morire
1 starebbe per nascere
1 avrebbe un computer
1 (si, solo 1) sarebbe laureato
Se si considera il mondo da questa prospettiva, il bisogno di tolleranza,
comprensione, ed educazione, diventa palese.
Prendete in considerazione anche questo:
Se vi siete svegliati questa mattina e state bene in salute, siete piu
fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana.
Se non avete mai provato il pericolo di una guerra,
la solitudine della prigionia, il dolore della tortura,
i morsi della fame, siete privilegiati rispetto a 500 milioni di abitanti
di questo mondo.
Se potete andare in un luogo di culto senza la paura di essere minacciati,
arrestati, torturati o uccisi, siete piu fortunati di 3 miliardi di persone
di questo mondo.
Se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sulla testa e un
posto dove dormire, siete piu ricchi del 75% degli abitanti del mondo. Se
avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e spiccioli da qualche parte
in una ciotola, siete fra l' 8% delle persone piu benestanti al mondo. Se
i vostri genitori sono ancora vivi ed ancora sposati, siete persone
veramente rare.
Se potete leggere questo messaggio,
siete doppiamente fortunati,
perche qualcuno ha pensato a voi
e perche non siete fra i due miliardi di persone che non sanno leggere.
Qualcuno una volta ha detto:
Lavora come se non avessi bisogno dei soldi.
Ama come se nessuno ti abbia mai fatto soffrire.
Balla come se nessuno ti stesse guardando.
Canta come se nessuno ti stesse sentendo.
Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra.
E' la settimana internazionale dell'amicizia.
FELICE SETTIMANA DELL'AMICIZIA A TUTTI!
Vitangelo di Pierro
"Tempio"
segnalato da Mariachiara
Il pallore della tua livrea ora brilla,
caldo arancio nel crepuscolo del cuore,
e tacite lacrime da me distilla
ché gioia trabocca dal tuo etereo candore.
Sotto le mie palpebre animi immagini
che muovono passioni ed insicurezze
con cui all'indomita voglia poni argini
scoprendo dell'Amor ignote fattezze.
O gioco, astrazione, germe della letizia,
pennelli nell'anima ardor che mi vizia,
togli atroci chiodi dalle mie ferite,
muta e inerte musa di carte scolpite.
Risalendo come linfa nel tuo fusto
ti faccio erba, poi plantula e ancor arbusto,
ti faccio albero che trasuda respiro,
tempio mio di meditazione e ritiro.
Vitangelo di Pierro
"Quesito d'un dì"
segnalato da Mariachiara
Siedo e ripenso
alla tiepida vita,
odori e colori andati,
bellezze a stento ostentate,
fascini imberbi in erba.
Lì il freddo non lede,
lì l'afa non brucia.
Le braccia son grandi a dismisura
e accolgono ignote vacuità.
Il cuor si fa sprezzo di paura
e si vanta della sua volontà.
Parliamo d'amori e d'infinito,
nulla ci manca.
Forte d'un nonno combattente
che affascina o inganna
per tre nemici andati
e sette anni di rigore,
d'un padre paziente
che semina e raccoglie
sognandomi nell'arma
a difenderne l'onore,
d'una madre ridente
che scandisce il tempo
con acuti suoni di tagli
e ciascuno l'ammira,
-Chi mi potrà far niente?-
chiedevo io sopito
da tranquillità vincente
e da essa stessa tradito.
Il tempo non so cosa sia
ma ora la mia guancia
punge le braccia
quando riposo il capo
guardando il mondo
o cercando sollievo,
chino e ad occhi chiusi,
muto di stanchezza.
Ho mille difetti
ma se li conto non vivo.
Ho cento progetti
ma se ci penso piango.
Ho dieci dolori
ma mali altri curo.
Ho una sola vita,
dunque ora sudo.
Ché mio nonno è morto
e le medaglie al valor militare
non l'hanno reso immune
da terrore e tremori,
da lamenti e timori.
Ché mio padre ancor raccoglie
con la destra abile e forte
ma nella sinistra
ha avanzi dei miei semi
ch'io dispersi nell'arido vento
della rinuncia al giuramento.
Ché mia madre ancor suona
ma solo ritmi man mano più lenti
e prega per non rivedere
il suo sorriso deturpato dagli eventi.
No,
non guardo mai indietro.
Io ricordo,
mi basta così.
Sono felice
ma una cosa ora temo:
lo stesso quesito
che mi posi un dì.
Vittorio Zacchino
"Elegia modenese"
segnalato da Diego Sessa
Sono venuto nella tua città.
Dal terrazzino dei fichi
respiriamo Piazza Grande
e tu discorri compiaciuta
dell'albicocco e d'altro.
Uniti da un'egual follia
divoriamo la pizza ortense,
ragioniamo di poesia
di questioni melense.
Dolci occhi di Saro
s'appendono alla tua bocca;
gustiamo il Pinot raro,
mezzanotte già scocca.
Il conversare s'insinua
nelle pieghe del passato,
L'incantamento continua,
tracima nel cielo stellato.
Sono venuto nella tua città
me ne torno contagiato.
Antonin Artaud
"giardino nero [II]"
tratto da: Poeta Nero
segnalato da Diego Sessa
Scorrete fiumi del cielo nei nostri petali neri.
Le ombre hanno riempito la terra che ci regge.
Aprite le nostre strade al carreggio delle vostre stelle.
Illuminateci, scortateci con le vostre schiere,
legioni argentine, lungo la strada mortale
dove ci incamminiamo al centro della notte.
Così il giardino parla in riva al mare.
E il gelido metallo delle vostre sante colonne
o steli ha vibrato. Ecco la notte che offre
la chiave universale delle sue porte di corno
alle anime liberate che esalano.
Enzo Bonventre
"Trapani"
tratto da: Poesie Scelte
segnalato da Diego Sessa
Trapani una falce
o mare nero di Ulisse e di Nausicaa
il palpito del mare
e il suo grande mistero
alle origini dell'Odissea
Eugenio Montale
"Al forte"
segnalato da Silvio Bernardi (MI)
Un grande ombrello d'ombre
che or rotonde ora oblunghe
decidono il mezzogiorno o l'imbrunire.
Sere e tramonti rosa, in questo
inusuale salotto, dove ho visto
sfilare le tue amiche. Paola
la bruna dagli occhi smeraldo
verrà ancora?
Luigi Fontanella
"New York New York"
tratto da: Terra del Tempo
segnalato da Diego Sessa
[...]
guardare confermare tacereallo spettacolo
stabilito cronologie fissate benvivere
tra quattro ganasce fili di grasso rappreso
v'intendete a segni senza impazienza
benprotetti da sedie a voltaggi duemila.
[...]
Giorgio Poluzzi
segnalato da giopoluz@tin.it
Tra le strade del paese
-con la nebbia che si arrotola tra cose e persone-
gli ultimi mucchi di neve
scricchiolano: al passaggio della gente.
Borges
tratto da: Arte Poetica
segnalato da semprecaro@katamail.com
A volte appare nelle sere un volto
e ci guarda dal fondo d'uno specchio;
l'arte dev'esser come quello specchio
che ci rivela il nostro stesso volto.
Nadia Cavalera
"Acchiapparello"
tratto da: Brogliasso
segnalato dalla redazione
indovina indovinello
perché fu ello a omaggiare Giulio
per senatore a vita cicciobello?
indovina indovinello
perché fu sempr'ello a pilotare Tonino
per la commissione nascondarello?
Saverio Pipino
"Onde...Quasi preghiera a S. Geminiano"
segnalato dalla redazione
Come la foglia portata dal vento
errando va per l'aere senza pace
similmente con forte tormento
Vangava l'anima. Una fornace
ardeva in petto lungo il mio cammino
tra questa umanità spesso ferace.
Nell'Alba radiosa d'un mattino
in ginocchio mi "ritrovai" alla FONTE
che zampillò per Volere Divino.
La Statua del Santo avea di fronte,
mirai il volto di Geminiano
e la figura parve fosse un monte
Sembrò volesse allungarmi la mano...
forse parlava ... diceva qualcosa ...
un dolce canto giungeva da lontano.
Dentro un'immensa profumata rosa
vidi una turba di "Geminia Gente"
inginocchiata, orante, luminosa.
Sentìi una voce, armoniosamente
dominare su tutto quel pregare
mentr'io, straniero, stavo riverente.
Diceva: - E' il Santo al quale sono care
le mura che proteggono i suoi figli"-
-mi disse mentre stavo ad osservare-
"ascolta dunque i miei santi consigli
"frutto dell'Opera dell'amato Santo,
"e la sua storia non ti meravigli.
Geminiano s'espresse col "canto"
non più udibile tra voi mortali...
Lui mise amore dove c'era il pianto.
Fece parlare PAPI e CARDINALI
per la sua Fede e per la sua Potenza...
fu eterno vincitor dei suoi rivali.
L'anima mia da quella "eloquenza"
venne rapita. Pure la Figura
parlava per darmi "la conoscenza".
Sentivo l'aria stranamente pura!
Il cuore e l'anima erano già pronte
per abbracciare quella Creatura.
Forte bagliore illuminò la fronte.
Immobile rimasi ad ammirare
un raggio luminoso all'orizzonte
che fulgido sorgeva sopra un mare
d'un "grande verde" mentre la fontana
sembrava m'invitasse ora a pregare.
Iscrizione sulla fonte
LA TUA PURA FONTE
O GEMINIANO SANTO
DISSETANDO - PURIFICANDO
SANDO
CORPI ED ANIME
ZAMPILLI PER TUTTI
NELLA ETERNA VITA
[..]
ultimo aggiornamento:
giovedì 22 novembre 2001 4.20.28