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Bollettario.it - versione telematica del quadrimestrale di scrittura e critica diretto da Edoardo Sanguineti e Nadia Cavalera
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ESTRATTO


Luciano Anceschi in un profilo

di Nadia Cavalera

Bollettario n°19/20

Quando, negli anni Cinquanta, l'orizzonte culturale era ancora dominato dall'idealismo crociano, per cui la letteratura permaneva ingabbiata in rigidi percorsi predeterminati, c la cultura tutta scontava un triste isolamento rispetto ai fertili contesti europei, specie in campo scientifico, fu il filosofo Luciano Anceschi, col suo impegno teorico e critico, ad avviare il processo di apertura a soluzioni nuove, e a porsi come instancabile sollecitatore di poesia, anzi, per dirla con Umberto Eco, come un "generatore di poesia". Un riconoscimento questo cui Anceschi ha sempre tenuto.
Un riconoscimento che non sempre gli è stato tributato nella maniera più adeguata. Sarà perché, come suggerisce Giuseppe Pontiggia, sottolineare "il valore svela le usurpazioni"1 . Sarà perché, data la sua dirompente più che cinquantennale fecondazione culturale, dinamitarda per tante istituzioni e tante tranquillizzanti convinzioni, era diventato un personaggio decisamente scomodo. Pur se non lo dava a vedere, così apparentemente inoffensivo, appartato dal dibattito pubblico, riservato nel mondo accademico, e con una certa, cerimoniosa talora timidezza nel privato. Sempre incrollabilmente determinato a covare con solerte tenerezza le situazioni che provocava o nelle quali s'imbatteva. A scrutare instancabilmente l'officina del fare, porta per quella della conoscenza. Affascinato dai fenomeni, dalle cose non nella loro essenza, ma nel loro apparire. Nel loro primo palpitante apparire. Perché la domanda per eccellenza che Anceschi si poneva era il "come" questi avvengano e si intersechino tra di loro, nelle maglie sempre sorprendentemente cangianti e molteplici della realtà, una rete in cui la poesia rappresentava un momento di grande integrazione e concrezione conoscitiva. .
Un riconoscimento invece e dunque che gli è fortemente dovuto anche da parte di chi, pur tra tanta ammirazione, non sempre o del tutto ha condiviso le sue posizioni neopositivistiche e fenomenologiche. .
Ma fu proprio la pratica della fenomenologia, vissuta in quest'ambito come una sorta di supersistema (per la tendenza alla totalità in fieri perenne) cui è delegato il compito di raccordare, in massima apertura a-ideologica, tutti gli altri sistemi chiusi, a permettere il coagulo della neoavanguardia, che con i "Novissimi" (Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Porta, Sanguineti) e il "Gruppo 63" ha rappresentato la stagione poetica più rigogliosa del secondo Novecento (e che sicuramente molti più frutti avrebbe potuto dare se non si fosse poi arenata in squilibri di coerenza teorico-operativa). .
II fenomeno è tangibile a partire dalla data decisiva del 1956. Mentre nel panorama internazionale fervevano gli sviluppi di razionalizzazione capitalistica, di contro al pericoloso illanguidimento del movimento operaio. Mentre in Italia, tra le aumentate resistenze al neorealismo, e al post-ermetismo, e la nascita del neo-marxismo, si pubblicava infine, dopo 10 anni dalla sua uscita in Germania, "Mimesis. Il realismo nella Letteratura occidentale" di Auerbach, così stimolante per le soluzioni estetiche e sociologiche di ferrea storicizzazione, da provocare vasta eco. .
Ebbene fu nell'autunno di quell'anno che Luciano Anceschi (già autore di "Saggi di poetica e poesia" (1942), e curatore di "Lirici nuovi" (1942), di "Lirici del Novecento" (1952), di "Linea lombarda" (1953), e già direttore della collana "Oggetto e simbolo", che aveva pubblicato, sempre in quell'anno "Laborintus" di Edoardo Sanguineti) fondò "il verri", la trimestrale "rivista di letteratura", dal nome illuministico e da certa struttura sensitiva barocca, osservatorio critico di primo piano, e culla della neoavanguardia. .
Sarà lo stesso Anceschi a sottolineare l'importanza di quel momento, quando, nel 1964, nella presentazione della prima antologia del "Gruppo 63", scriverà: "Accade in questi anni -e vogliamo mettere come data d'inizio del movimento il 1956?- accade in questi anni nel nostro paese qualche cosa di naturale, di prevedibile, di necessario: nasce probabilmente una nuova generazione letteraria". E già prima, nel 1961, nella poesia dei "Novissimi" aveva visto la fine di un triste periodo, ma anche di una lunga incubazione: "Per quel che riguarda la poesia, si può dire con qualche fondamento che il dopoguerra finisce solo ora". .
Ma "il verri", oltre che laboratorio di nuova letteratura, per la considerazione degli stretti legami che questa necessariamente intesseva con tutte le esperienze del pensiero e della realtà, fu anche fucina di una nuova cultura: quella interdisciplinare. Precisa Giuliani: "Aveva un vasto raggio di osservazione, una maniera concettuale che collegava, distinguendoli ma non separandoli, i fenomeni e i metodi per leggerli, dalle arti alla musica alla psicopatologia alla linguistica"2 . Tant'è che nei suoi numeri speciali, superando gli angusti limiti del mondo letterario, i redattori spaziarono in moltissimi campi. Alcuni titoli: "L'informale", "La condizione atomica", "Psicopatologia dell'espressione", "L'arte programmata", "Lo strutturalismo linguistico", "Teatro come evento", "Psicoanalisi e poesia", "Nuova musica", "Poesie e Filosofia", "Rossigni", "Nietzche". .
Con "il verri", Anceschi dava voce e possibilità di dibattito e crescita agli amici di quella "società" che credeva fermamente nella poesia e nella letteratura quali "attività non seconde a nessuna altra attività, del tutto degne dell'uomo"3 , e riconfermava che la letteratura vive solo in una partecipazione piena dell'amplissimo sistema delle mutevoli relazioni in cui di volta in volta si attuano tutti i significati del tempo, anzi proprio tali significati essa, nei suoi modi, contribuisce a formare". Gli amici della "società del verri, la piccola patria che anticipa l'Europa", erano innanzitutto quei giovani che Anceschi aveva riunito intorno, a sé, a Milano, (ai tempi del Graya, del Salvini, del Blu Bar in via Meda), e per il valore dei quali aveva dimostrato un fiuto straordinario. Come un cane da tartufi 4 , annusava l'aria per scovare e mettere in contatto giovani cervelli da cui far scaturire il nuovo. "Era un cacciatore di teste " 5 , dirà Eco nel ricordare, alla sua morte, come fosse stato lui a cercarlo, quando, appena laureato, lavorava alla RAI di Milano, e lo avesse messo in contatto con altri del gruppo, Balestrini, Antonio Porta, Luciano Erba., Bartolo Cattafi, Glauco Cambon. Ma anche Carlo Bo, Eugenio Montale, Enzo Paci di "AutAut". Nella ferma convinzione che la frequentazione producesse cultura, non esitava a regalare generosamente agli altri oltre che se stesso, anche i suoi amici. Per questo suo talento Alfredo Giuliani lo chiamerà "singolare impresario e maestro di cultura"6 . E Edoardo Sanguineti, usando una sua stessa formula, per sottolinearne la forza maieutica, lo indicherà quale "Socrate plurale"7 . .
A proposito del "nuovo" , una sua categoria critica, che amava particolarmente nel momento della formazione, Marco Macciantelli sottolinea che "l'intera sua esperienza di studio e di ricerca, oggi più che mai, appare inscritta in quella prospettiva che è stata detta della tradizione del nuovo"8 . .

Nato a Milano nel 1911 (il 20 febbraio), Anceschi ha svolto tutti i suoi studi nella città natale. Precoce e forte lettore di poesia, e poeta egli stesso (ma di testi, per fortuna, a suo dire, poi distrutti), già a diciassette anni pubblicò (su "Giovinezza", n. 12-15 dicembre 1928), un breve scritto dal titolo "Il poeta Petöfi" , che sarà scoperto c riproposto nel 1995, da Luca Cesari, suo vecchio allievo, in "L'avvio", edito dal Centro Pio Manzù. .
All'Università, fu discepolo, prima (ma per breve tempo), di Piero Martinetti e di G.A. Borgese, poi di Antonio Banfi c di Adelchi Baratono. Si laureò conseguendo il massimo dei voti, con una tesi, preparata e discussa con lo stesso Banfi, sull' "Idea di poesia pura (formazione, sviluppo, teoria di un concetto estetico)". Assistente alla cattedra di Estetica fino al 1943, poi libero docente di Estetica alla Bocconi, fu, fin dal 1937, professore di Storia e filosofia al Liceo Scientifico Governativo "Vittorio Veneto". Tra i suoi alunni Nanni Balestrini e Vincenzo Accame. È quest'ultimo a ricordare che in quegli anni il professore di storia avesse la singolare abitudine di portarsi a casa da leggere anche i temi d'italiano dei suoi alunni, con i quali poi li commentava dettagliatamente. Infatti già in quegli anni Anceschi partecipava appieno al movimento letterario ed artistico. Oltre che per le antologie di cui sopra, (gravide per i poeti di nuove vie, per il fatto stesso di essere definiti e collocati), anche come redattore regolare della "Fiera Letteraria" e della "Rassegna d'Italia", e direttore del "Bollettino di Arti e Lettere". Inoltre collaborava a "Rivista di Letteratura moderna", "Leonardo", "Nuova Italia", "Letteratura", "Letteratura e Arte Contemporanea", "Studi Filosofici", "Aut Aut", e a svariate altre riviste. .
Avviandosi così ad essere, lungo una molteplicità di funzioni sorrette dalla piena. coerenza, anche un grande maestro della critica soprattutto in ambito poetico. Oltre che un grande maestro dell'Estetica. .
Si andava infatti rafforzando, in lui, nel contempo, l'indirizzo della sua ricerca, iniziata nel 1934, quale sviluppo della sua tesi di laurea e che aveva visto la luce nel 1936 col titolo "Autonomia ed eteronomia dell'arte", punto di incontro del crocianesimo con la lezione di Antonio Banfi, impregnata di razionalismo critico e sintesi della cultura filosofica europea. "Autonomia ed eteronomia dell'arte" resterà il perno e la giustificazione di tutto il suo lavoro futuro. Lo preciserà lo stesso Anceschi, nel gennaio del 1990 (nella prefazione della quinta edizione de "Le poetiche del Novecento in Italia"): "Credo che ci sia qualche cosa di vero se si dice che io ho scritto un solo libro: dall' "Autonomia e eteronomia" (1936) a "Che cosa è la poesia" (1981) al tentativo di sintesi, "Gli specchi della poesia" (1989). Il tema che si ripete, in un discorso continuo e che continuamente si riprende è quello della poesia e della critica, una estetica della poesia e della critica nelle loro strutture ed istituzioni; il metodo è quello della nuova fenomenologia critica; l'intenzione quella di uscire dai discorsi astratti della poesia, da un discorso più attento alle sue proprie interne coerenze teoriche che alla realtà dell'esperienza vissuta, vivente e protesa a vivere quale la poesia stessa nella sua millenaria e mobilissima realtà ci offre". .
Di Banfi (cui Anceschi giungeva dopo un lungo contrasto interiore nel registrare, essendone accanito fine lettore, la ricchezza della poesia, di contro alla rigidezza assunta nei suoi confronti da posizioni filosofiche assolutistiche dogmatiche quindi limitanti), ebbene di Antonio Banfi lo aveva colpito soprattutto la distinzione tra pensiero pragmatico e pensiero teorico, e il suo concetto di integrazione, per cui lo scopo della filosofia non era quello "di imporre una realtà assoluta ad una realtà vivente, ma di integrare tutte le manifestazioni che nascono dalla realtà vivente e di capirle"9 . Da ciò il suo interesse, già orientato allo studio della poesia e delle dottrine poetiche, fu spinto ad un esame concreto della fenomenologia delle poetiche, che mira e al rilievo della legge della riflessione poetica e a delineare la storia della riflessione stessa nei vari sensi: idealizzante, normativo, precettistico10 . Sino a conseguire, quello che Sanguineti riterrà il merito maggiore: "una originale gestione del concetto di poetica, in mediazione dialettica tra estetica e poesia. In questa sua strategia, il momento di riflessione teorica, la concreta analisi storica e il discorso critico vivono inseparabili, in reciproca implicazione, e quasi insensibilmente trapassano l'uno nell'altro"11 . .

Nello svolgimento dei suoi studi, ha affrontato la poetica del Barocco, attraverso soprattutto Daniello Bartoli e il Vico giovane e, attraverso l'esame della stessa idea del barocco, ha studiato le origini e la storia del Simbolismo, le origini e la storia del Neoclassicismo europeo tra le due guerre, le poetiche contemporanee in Italia ed Europa, la nuova dottrina poetica degli americani, da Pound a Eliot (di cui nel 1946 ha tradotto "Il bosco sacro" diffondendolo tra i giovani, e su cui ha svolto vari studi), ai Palinsesti del protoumanesimo americano. Accumulando una bibliografia vastissima, che predilige la forma del saggio (per l'immediatezza e la molteplicità che garantisce e richiede nella disanima degli argomenti), caratterizzata inoltre da una scrittura non accademicamente imbalsamata. Solo qualche titolo, in sequenza cronologica: "Civiltà delle lettere" (1945); "Eugenio d'Ors e il nuovo classicismo europeo" (1945); "Poetica americana e altri studi contemporanei di poetica" (1953); "Del Barocco e altre prove" (1953); "I presupposti storici e teorici della estetica kantiana" (1953); "Le poetiche del Novecento in Italia" (1962); "Progetto per una sistematica dell'arte" (1962); "Il modello della poesia" (1966); "Fenomenologia della critica" (1966); "Le istituzioni della poesia" (1968); "Da Bacone a Kant" (1972); "Da Ungaretti a D'Annunzio" (1976); "Tra Pound e i Novissimi" (1982); "Idea del Barocco" (1984); "Che cosè la poesia?" (1985); "Gli specchi della poesia" (1989). .
A proposito del Barocco, va ricordato che Anceschi ha proceduto ad una sua rivalutazione, come hanno fatto altri, d'altronde, ma con la peculiarità di una lettura del passato alla luce del presente, con la singolarità di un discorso strettamente legato alla militanza nella poesia e nella cultura del Nocevento. Nel cui ambito ha ricercato dal Parini a Pascoli, a Gozzano, a Montale, a Sereni, e agli altri componenti della "Linea Lombarda", una poetica degli oggetti con cui ha, alla fine, allevato, balia doviziosa, i Novissimi. .

Arriverà a Bologna, nel 1952, quale professore incaricato alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università. Alloggiò subito all'albergo "Stella d'Italia", in via Rizzoli, poi fu in via Mascarella, ed infine nella famosa via Finelli, n. 3, dove più generazioni di poeti e studiosi si sono recati ad incontrarlo per scambi fecondi, dialoghi maieuticamente dialettici grazie alla sua talmente "non inerme disposizione all'ascolto"12 , da essere definita da Sanguineti, quasi con ammirato stupore, come "paziente spregiudicatezza d'ascolto"13 . Per i più giovani Anceschi diventò subito un punto di riferimento insostituibile che li allontanava dalla disperata soffocante solitudine culturale di quella stagione. Dirà Toti Scialoja, facendogli l'elogio più gradito: "col tuo pensiero ci hai liberato". E Fausto Curi: "Passati gli anni, ovunque fossimo, per lontani che fossimo, sapevamo che in un punto ideale del mondo c'era qualcuno che non cessava di pensare a noi e al quale potevamo sempre rivolgerci, sicuri che non avrebbe mancato di raggiungerci la voce benefica di cui avevamo bisogno"14 . .

In città allora, dove Pasolini di lì a poco avrebbe iniziato, (con Francesco Leonetti, Patrizio Roversi, Gianni Scalia, Angelo Romanò, Franco Fortini) la rivista "Officina" (aprile 1955), crociogramsciana, s'imponevano nel campo della cultura, il pittore Giorgio Morandi, il poeta Francesco Arcangeli col fratello Gaetano, il critico e storico d'arte Cesare Gnudi, legato alla lezione di Roberto Longhi. Personaggi dunque di "scuole" diverse, ma ugualmente di estremo rigore d'impegno. Non si amarono tra di loro, ma praticarono una convivenza culturalmente proficua per la città. .
Anceschi conservò l'incarico fino al 1962, quando vinse in assoluto (risultando primo nella graduatoria nazionale di un concorso alla sua prima edizione) la cattedra di Estetica. Vi rimarrà fino al 1981, poi sarà professore emerito. .
Teneva le sue lezioni dialoganti (raramente erano dei monologhi) nella vecchia aula VIII, quindi continuava quello che subito era diventato un colloquio a più voci nei corridoi, a casa sua, per strada, nei caffè (quello del Teatro, il "Roberti"). Lezioni singolari, all'aperto, aperte esse stesse. In sua compagnia spesso, tra gli altri, c'è chi rammenta Luigi Gozzi, Marina Mizzau, il Leonelli direttore del Carlino. .
Suo proposito iniziale, costantemente perseguito fu quello di trasferire la tensione, "l'inquietudine della modernità" tipica dell'europea Milano nella "cultura profonda, critica e ricca" di Bologna, discordemente viva febbrile con le tante piccole riviste. E ci riuscì benissimo, riscuotendo dai giovani grande rispetto e tanto calore. .
Gli stessi d'altronde che lui elargiva loro, considerandoli della stessa razza, sullo stesso piano, solo a stadi diversi della vita ("saranno i professori di domani" faceva spesso presente di fronte a ingessati comportamenti). E ad aiutarli a crescere, pur con la discrezione che gli era propria, timoroso quasi di turbarli, si era impegnato senza risparmio di energie. Fino alla fine. .
Durante l'ultimo anno tenne un seminario di poesia, del tutto sperimentale, riportato in seguito sul "verri". E nel maggio del 1981, in un'aula gremita di alunni amici e colleghi, all'ultima lezione, rilanciò, con il solito modo pacato, il suo progetto culturale di un impegno vissuto nell'unificazione della cultura universitaria con la cultura critica e nella prospettiva militante. In pratica riconfermò il suo modello di vita a tutt'oggi insuperato, per quell'assidua frequentazione ("ricognizione sul campo" diceva) non solo dei testi e delle poetiche, ma anche dei poeti stessi.
Il suo impegno comunque non si era limitato ai giovani, ma si era profuso verso l'intera, città, che ha cercato sempre di stimolare e coinvolgere con l'azione poetica ed artistica. Anche quando fu alla direzione (dopo Zangheri, Gnudi, Emiliani), dell'Ente "Manifestazioni artistiche bolognesi". Di quel periodo Renzo Renzi15 ricorda il superbo progetto di far fotografare Bologna dai massimi fotografi del mondo e realizzare poi delle mostre collettive itineranti. Furono, per questa circostanza a Bologna, Romano Cagnoni, Joan Fontcuberta, Sam Haskins. Poi tutto fu inopinatamente bloccato. Così come avvenne anche per l'altro progetto legato al mensile "2000 incontri", del cui comitato dei garanti aveva fatto parte anche Anceschi, con la sua verve vivificatrice, verso orizzonti più ampi.
Molti altri gli incarichi ricoperti, e tante altre le iniziative, che l'hanno visto protagonista o solo animatore determinante. Non si è veramente mai tirato indietro, anche se talora ammetteva che era stata "una lotta durissima".
Senza pentimenti però, perché amava molto Bologna. Ed era amareggiato negli ultimi anni di vederla pigra, meno attiva del solito, poco rispondente a proposte pur validissime, soprattutto nel campo dell'arte.
Il suo affetto alla città lo dichiarò pubblicamente il giorno in cui, il 15 ottobre del 1991, (lo stesso giorno della donazione Morandi) donò alla città la sua biblioteca privata e il suo ricchissimo archivio, con la clausola che tutto fosse sempre disponibile alla consultazione pubblica. Lo aveva promesso nel 1983, nell'atto di ricevere dal Comune la massima onorificenza dell'Archiginnasio d'oro. A suggerirgli l'idea era stato il vecchio amico Giuseppe Guglielmi, ora scomparso. Da quel momento era seguito un lungo inventario, curato dal sovrintendente regionale ai beni librari, Nazareno Pisauri, con la collaborazione della studiosa Antonella Campagna, la stessa che, con la nipote di Anceschi, Giovanna, allestirà una mostra su di lui, nel dicembre del 1996.
Oggi il Fondo Anceschi conta 18.556 reperti, tra libri, periodici ed opuscoli; 500 i suoi manoscrittl e altrettanti quelli di autori del '900. L'epistolario è composto da 17.668 lettere tra cui spiccano per numero quelle di Edoardo Sanguineti (ben 374). Ma numerosissimi, tra quelle carte, altri grandi, da Sereni (suo inseparabile compagno d'Università, di cui aveva visto nascere la poesia, e a cui era legato dalla volontà di cercare un senso concreto alle cose) a Quasimodo, Eliot, Montale, Gadda, Calvino, Pasolini (che non gli perdonò il suo appoggio all'avanguardia), Zanzotto, Pratolini, Sciascia e Ezra Pound. Con quest'ultimo si frequentava anche a Rapallo, dove Anceschi aveva una casa in via Salita al Pellegrino, n.24, e dove di recente aveva ricevuto, accompagnato da Marco Macciantelli, Lucio Vetri ed altri, la cittadinanza onoraria. Pound inoltre lo andava a trovare, come molti altri, anche nella casa in collina a Vetto d'Enza, in provincia di Reggio Emilia.
Vi andai anch'io, nell'agosto del 1991, per prendere la sua testimonianza su Corrado Costa per il numero 5/6 di Bollettario, in allestimento. Arrivai facilmente. La signora Maria, sua attenta premurosa compagna, era stata precisa nelle indicazioni: "Una volta a Reggio, prenda per Cerreto, poi cerchi l'indicazione per Ribalta, qui giri a destra per la strada Valle dell'Enza; passi per Ciano e una volta a Vetto, in piazza prenda la stradettina vicino alla Chiesa, per andare nella località Fontanella. Qui, ci troverà, in via dei Colli al n.26". In quell'occasione mio marito fece anche delle riprese amatoriali (il professore era molto elegante nel suo completo bianco ed il pullover rosso, e contento di avere con sé la nipote Giovanna), a me molto care, nonostante il risultato artisticamente non esaltante... Anche in quell'occasione fu prodigo di sollecitazioni, esortazioni, consigli per la mia giovane rivista, di puntualizzazioni. E anche in quell'occasione, a me che lamentavo la mancanza d'un valido collaboratore che organizzasse e promuovesse "Bollettario", (che sognavo erede del "verri", data la premessa di averlo fondato con Sanguineti), non mancò di tessere le lodi di Nanni Balestrini, determinante per la sua rivista: "Era lui l'attivo, unico, un uomo di razza superiore (sic!), unico non solo per le capacità di esecutore, ma di sollecitatore" disse, scandendo la frase col gesto della mano destra, dal pollice e indice giunti, come fosse un lascito critico affettivo definitivo.

Luciano Anceschi è morto un martedì, il 2 maggio 1995, alle ore 18. Aveva 84 anni. La mattina era andato regolarmente, da solo, a comprare i giornali, poi nell'arco della giornata la crisi cardiaca, irreparabile.
I funerali si sono tenuti giovedì, 4 maggio, alle ore 12, nella solenne cappella De Bulgari, all'Archiginnasio. La si apre raramente, perché sempre soggetta a restauri. Le ultime volte furono per il pedagogo Mario Gatullo, e ancora prima per Francesco Arcangeli. L'orazione funebre è stata tenuta dal sindaco Walter Vitali e dal rettore Fabio Roversi Monaco, ma è stato il professore Fausto Curi, già suo allievo, a tracciarne un sentito ricordo. Poi la salma è stata trasportata a Milano per essere tumulata, il venerdì seguente, nella tomba di famiglia, con rito privato.
A Bologna ha lasciato una schiera enorme di suoi allievi, diretti e indiretti. Si registrano anceschiani non soltanto in Estetica c nelle discipline collaterali, ma ovunque, al Dams, all'Accademia di Belle Arti, in Storia della Letteratura Italiana, al Magistero e a Lettere, in altri Dipartimenti, nel mondo del giornalismo. Solo alcuni nomi: Lino Rossi, Luciano Nanni, Carlo Gentili, Fernando Bollino, Emilio Mattioli (poi a Trieste), Rosalba Paiano, Fausto Curi, Renato Barilli, Lamberto Pignotti, Alessandro Serra, Stefano Ferrari, Giorgio Celli, Paolo Bagni, Niva Lorenzini, Lucio Vetri, Marco Macciantelli, Umberto Eco, Guido Guglielmi, Renato Barilli, Cesare Sughi. E fuori, al di 1à dei contagiati di altre "scuole", tra i tantissimi, Giuseppe Pontiggia, Giuliano Gramigna, Alfredo Gluliani, Alberto Arbasino, Edoardo Sanguineti, Angelo Guglielmi, Roberto Barbolini. Non vanno dimenticati fra gli scomparsi: Ennio Scolari, suo fine interprete, e Giorgio Manganelli, alias il Manga. A tutti ha insegnato, oltre che un metodo (come amava sottolineare, per bandire ulteriormente le assolutizzazioni, i dogmatismi) e una dottrina, (la "pratica del sapere come sistema aperto e inesauribile di relazioni e differenze")16 , innanzi tutto, sottolinea Curi, una "idea di cultura come esperienza dell'alterità". Una cultura vivace, di stampo lombardo, illuministicamente ragionante. Indispensabile per la costruzione di quella "Civiltà delle lettere", cui sempre tendeva. Una cultura che auspicava felice, per la costante coltura di un dialogo tra le sue componenti, senza scavalcamenti o sovrapposizioni interne. Intrisa di "umanesimo disilluso", perché contemplante il recupero dell'operato dell'uomo senza trionfalismi, senza quella cieca fiducia di altri tempi (comunque sempre con ottimismo, con speranza: "L'età ci minaccia alle radici" ma "l'uomo saprà uscire dalle sue difficoltà, e "da solo""17 . È una "coniugazione di passione e di ironia", dice Guido Guglielmi, "un umanesimo laico e irreligioso", che sa che la storia non si presta alle nostre idealizzazioni, e che proprio per questo ci coinvolge radicalmente, e ci chiede scelte e decisioni". E continua: "un imperativo della vita che viene prima di tutto, ma la vita è anche amara intelligenza della vita"18 .
Soffriva di cuore già da molti anni. Quando io lo conobbi alla fine del 1990, stava vivendo una speranzosa ripresa, tant'è che aveva acconsentito di buon grado a rilasciarmi una lunga intervista, ma a tappe, una sorta di biografia a quattro mani. Ad una mia lettera, spedita il 19 novembre, aveva risposto subito chiamandomi al telefono. Era domenica 25 (conservo ancora gelosamente il nastro della registrazione). "Sono Anceschi" mi disse, e dopo alcuni convenevoli e richieste di spiegazioni su "Bollettario", che per disguidi postali non aveva mai ricevuto, "Ecco senta" continuò) "volevo dirle che il suo invito è gentilissimo e naturalmente non può che essere affettuosamente accettato". E così era iniziata la piacevole consuetudine di incontrarci a casa sua ogni lunedì (la mia giornata libera, a scuola). A volte gli incontri erano registrati altre volte no, li considerava di preparazione. "Ci sarà solo un limite" mi aveva avvertita al telefono quella prima volta "1a mia salute... lo ho molti anni ...". E il male rincrudì. Ci fu qualche disturbo serio, un nuovo ricovero in ospedale (uno anche della signora Maria per accertamenti), i festeggiamenti dell'ottantesimo compleanno vennero rimandati. E quando a primavera inoltrata sembrava essersi di nuovo ripreso, nonostante le rassicurazioni della signora Maria che no, non si sarebbe stancato, che potevo tornare a riprendere le nostre "chiacchierate", che anzi ne avrebbe avuto piacere in quanto si distraeva, io, seppure con grande rammarico, rinunciai al progetto della lunga intervista (ne uscì solo un brano sul n. 4 di "Bollettario"). Non potevo sopportare, neppure lontanamente l'idea di essere in qualche modo responsabile di un suo affaticamento. Era già tanto provato dalla malattia. Le domande preparate sull'uomo Anceschi con ricordi e bilanci di illusioni e delusioni, con confessioni, sono rimaste lì inevase, nella cartella. Ma forse è stato meglio così.
Il filosofo dell'esperienza estetica Luciano Anceschi non teneva veramente ad altra biografia se non a quella che lo vedesse strettamente legato alla poesia nelle sue strutture ed istituzioni, in quanto per lui "luogo sensibilissimo" del pensiero e della conoscenza. Dell'inquietudine. Il luogo della libertà. Ai suoi discepoli ora il felice compito di indagarlo e svilupparlo in tal senso.
Modena, maggio 1996



1 Giuseppe Pontiggia in AA.VV:, Omaggio a Luciano Anceschi, Mucchi, Modena 1991, p.56
2 Alfredo GiuIlani in A.A.V.V., Otwggio a Laciano Anceschi, op.cit, pag. 31
3 Luciano Anceschi, in Discorso generale, con cui apre il primo numero del Verri, autunno 1996
4 Umberto Eco, in I ragazzi del blu ba?', un' intervista non firmata sula Repubblica, 20 febbralo, 1991, pagina regionale.
5 Umberto Eco, intervistato da Daniela Carnboni su I'Unità, 4 maggio 1995, pag. 24
6 Alfredo Gluliani in A.A.V.V., Omaggio a Luciano Anceschi, op.cit, pag.31
7 Edoardo Saneuineti. in A.A.V.V., Ornaggio a Luciano Anceschi, op.cit, pag.31
8 Marco Macciantelli, Sul progetto estetico di Luciano Anceschi, ne il verri, N. 3-4, 1995, pag. 15
9 Luciano Anceschi, in Bollettario, nA, gennaio 1991, pag.47
10 Luclano Anceschi, in Curriculum vitae inedito, pag. 3
11 Edoardo Sanguineti, in Omaggio a Luciano Anceschi, op. ell, pag.67
12 Alfredo Gluhani, op. cit., pag. 36
13 Edoardo Sanguineti, op. cit, pag.68
14 Fausto Cud, Parole per Luciano Anceschi, ne ilverrin.1-2,1995,pagg.IV-V
15 Renzo Renzi, su L'unitd, 4 maggio 1995, pag. 24
16 Fausto Curi, op. cit., pagg. IV-V
17 Luciano Anceschi, Gli specchi della poesia, Torino, Einaudi 1989, pag.7
18 Guido Guglielmi, Il metodo di Luciano Anceschi, in Lu ciano Anceschi, L'esercizio della lettura, Parma, Nuova Pratica editrice 1995, pag.XIII




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ultimo aggiornamento: venerdì 11 febbraio 2005 14.08.12
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