Chi è Santino Spartà, emigrato dalla Sicilia a Roma, con le vocazioni di servo di Dio e di poeta, praticate entrambe senza peraltro riuscire a diluire minimamente quella fonda inquietitudine che certo congenita lo ha perseguitato, quasi marchiato sino al rischio di farne, stando ad un superficiale impatto con la sua scrittura, un superbo esempio di uomo di poca fede?
Non essendo stati particolarmente sollecitati dalla forma pianamente massificata, è questa la domanda che subito si è formulata nella nostra mente (mi si perdoni il pluralis che non è certo maiestatis ma soltantomodestiae) dopo una prima rapida lettura di Continuo a Cercarti di Santino Spartà. Un libro dal titolo emblematico, in quanto denuncia subito la condizione di chi non ha certezze da comunicare, ma solo determinazione a trovarle, fame di sapere, ansia di raggiungere e possedere, in questo caso, l'oggetto del suo amore: Dio, nella persona del Cristo. E ricalcando le orme di chi va alla affannosa ricerca del Divino e del suo insoluto mistero, abbiamo iniziato anche noi una nostra personale ricerca di Spartà, analizzando attentamente i testi, che, quando sono autentici, costituiscono sempre splendidi test per delineare una radiografia psicologica, sentimentale, umana dell'autore.
Quella che, complicata dagli intrecci vari e tormentati con la figura del Dio-Cristo, (mai indicato direttamente ma ora invocato come Signore, ora come Lui, ora come Divina Presenza con la variante di Presenza Divina e l'incognita di qualche corsivo), speriamo, emerga da questo breve scritto.
Il mio intervento infatti non ha la pretesa di essere critico in senso stretto, ma nutre la speranza di costituire una specie di doppio gioco di specchi: uno specchio degli specchi. Che ci auguriamo utile ad un sacerdote-poeta che se ha accettato questo convegno non lo avrà fatto certo per raccogliere plausi e osannamenti tout court, (non crediamo ai critici che vogliono salvare capre e cavoli), ma unicamente per un onesto vivificante confronto .
Ebbene. Il Santino Spartà della prima sezione, è un uomo còlto ad un bilancio della propria vita che non considera esaltante, ma nemmeno mortificante. Impone solo un aggiustamento di rotta, una svolta. Basta con gli "stupori" del proprio "prato": deve cedere al richiamo incessante di un'intima vocazione, gioia di tormento, che si porta dietro da sempre. E come un antico cavaliere medievale andava alla ricerca del Santo Graal, lui, eroe dei nostri giorni, si avvia, solitario mistico questeur, ad intraprendere una impresa inaudita, impossibile: svelare il mistero di Dio.
Si lascia alle spalle un vissuto senza grandi riconoscimenti: un diario, dice, "senza campane", che non rinnega, ma umilmente accetta tant'è che, con amore, quale prezioso bagaglio, lo ripara tra gli olmi. Anche per il futuro non spera grandi gratificazioni, prevede anzi un cammino amaro che avrà per diacono il sapore agro della melagrana.
Ma questo non lo scoraggia, Santino Spartà è un uomo forte: vuole solo seguire la sua strada, perché solo accettando la croce della sua particolarità esistenziale, potrà arrivare all'essenza della sua natura. Questa gli preme:
"Verranno gli acini/ ad essere di nuovo salmi/ di speranza/ per il vigneto in sopore;/ oh allora greti abbandonati/ mi avranno fatto essenziale".
E altrove (nella sezioneInedite) dirà: "Dovrò diventare essenziale/ per accorgermi di te, Divina Presenza".
Se l'ordine della disposizione delle poesie rispetta quello cronologico della composizione, a dare la stura alla sua scrittura, che sarà poi strumento indispensabile per testimoniare il gradus ad Deum, è un fatto doloroso di cronaca.
[…]
Ha poi un pensiero tenero per la madre, l'unica che può, come il mistero, rendere l'amore leggero, farne un balsamo alla sua esuberanza: "sigilli / casta levità d'amore / sul volto che è tuo e del mistero". E altrove: "sul tuo seno/ affidato alla sera insonne/ adagio/ l'esuberanza dello spirito".
L'esuberanza: è questa un'altra caratteristica di Spartà. Lo sa, deve perciò controllarla, deve contenere il suo eccesso di energia, convogliarlo bene poiché potrebbe stornarlo dal suo "mulino", ormai identificato, e al quale invece ritiene che ognuno debba tornare "con parole d'infanzia", riscoprendo cioè l'innocenza.
L'operazione prospettata è però estremamente difficile quando gli uomini non seguono imperativi etici, quando non coltivano sentimenti religiosi, quando si abbandonano all'odio inconsulto, quando non praticano il perdono, e disdegnano dunque la rinascita spirituale.
[…]
Che fare dunque? Non resta che consigliare di tentare il colloquio coi morti, depositari di vecchi valori, e lui stesso si rifuggia nella natura (qui a rappresentare sempre il passato, l'origine) e intreccia un dialogo con un fiore, un crisantemo.
[…]
Più energico, quasi sanguigno risulta quando minaccia il tramonto di tornare indietro "a rubare/ dai graticci frutta per l'inverno" se dovesse insistere ancora a usare con lui parole dure ("se sciogli sillabe di fuoco"), per poi rientrare in intenti più miti subito dopo in quanto si rende conto che ha ancora tanto da fare, che "un mistero continuamente chiama", e "non c'è tempo di raccogliere stupori", per intrattenersi dunque in vicende passate, seppure "succose cortecce" che avrebbero solo l'effetto però di impaniarlo nella tristezza.
Mentre lui, tutto proiettato nel futuro, ama il sorriso. Possiede, dirà più oltre, "canestri di sorrisi": quello della disponbilità, del coraggio dell'estrema fiducia, dell'ironia, ma anche della sfida. E il titolo della prima sezione di Continuo a Cercarti sembra dirlo chiaramente: Immutato è il sorriso tra i solchi. Nonostante tutto, aggiungiamo noi.
Dunque, procede sicuro senza fermarsi pur essendone tentato, giusto il tempo di raccogliere qualche carezza in un "grembiule vuoto". Ma a nessun pellegrino è permesso sostare […]
L'avanzare deve essere per Spartà un ritornare a Dio, "montagna bianca".
[…]
È peccatore, lo sa, ma, per i suoi limiti, e per una certa vocazione ad assumersi anche quelli degli altri, in inconscia amorosa emulazione o identificazione col Cristo, vuole redimersi ed ecco che della sua condizione, che ben rappresenta quella di tanta umanità, chiede spiegazione al Signore. Infatti con Dammi una risposta…(ventesima poesia della sezione) scatta il dialogo diretto con Dio, cui prima, pur essendo sfondo e paesaggio, aveva solo alluso.
Lo chiama "Signore" con aria molto tenera e deferente. Lo sottolineamo perché in seguito non sarà sempre così. Quando il rapporto si intensificherà Santino Spartà sarà anche perentorio, invadente, petulante, impertinente e persino vagamente blasfemo. Ma che non si fa per amore! data poi l'assoluta unicità dell'oggetto!
E come per ogni storia d'amore inizia il racconto degli incontri.[…]
Ma è lui che non riesce a vedere la luce e nella poesia Ti raggiungerò, dopo aver elencato una serie di rinunce e di propositi, dopo aver sottolineato, quasi rinfacciato al Signore di essere stato lui ad invitarlo, gli ricorda la promessa di farsi presto raggiungere.[…]
Ma la speranza, pur resistendo, vacilla sempre; l'inquietitudine lo ghermisce ancora; Spartà teme che per lui non possa scendere più un'alba "con raffiche di fiaba" e, nella stasi completa, con ironia commenta che nel suo getsemani "ancora nessuna violenza di letizia".
Che il verso sia ironico e non segua invece certa tradizione cristiana dell'amore per la sofferenza, quale momento e mezzo di riscatto, è indubbio.
Spartà non ama la sofferenza tant'è che, in questo frangente, ha nascosto il suo cuore in "bacche selvagge", proprio "per non farlo più soffrire". E più oltre, paventando una vita tribolata, si chiederà: "Sarà ancora dura/ fatica il vivere?", per poi rispondersi affermativamente nel caso il Signore non baci, come lui fortemente vorrebbe, le sue labbra nude, ma le morda.
La sola eventualità di questa circostanza, che Dio lo rifiuti quindi, dà l'avvio ad una sorta di flashback in cui rivive e descrive "la notte più breve", la notte della morte del Cristo, infame per tutti, ma giusto per la Madonna. Concluderà con un amaro commento: "Ora l'uomo vittorioso/ brancola nell'oscurità/ mentre a Te, in catene, son rimaste sorelle le lucciole".
Rivive tanto quei momenti che si vede esule ascendere al calvario e accostarsi alla croce. Si dice pronto. Ha costruito anche l'altare con pietre levigate col sangue del Cristo e su di esso vi immola il proprio cuore, quale vittima sacrificale e lampada votiva sino alla consunzione ultima.
Intanto gli uomini che non conoscono il valore di questi momenti estatici, scambieranno per "voce di dolcezza", "le sofferenze e gli aromi".
Ricaricato da questa esperienza virtuale, si affretta a concretizzarla, per poi meravigliarsi lungo il percorso di ritrovarsi nuovamente solo. Altro doloroso dubbio. È lui che non comprende o è il Signore che non ha veramente attuato la redenzione?: "O i nostri occhi non si sono aperti/ o Tu non hai spezzato/ ancora l'ostia".
Per comprendere meglio la condizione dell'umanità scava nel peccato di Adamo, ma stringe in mano solo "carne ed acque amare".
Ed è di nuovo viandante senza che qualcuno gli porga qualche consolazione. Come mai così poca riconoscenza?
[…]
Gli interessi della prima sezione si restringono e In mano, mistero, (seconda sezione), si concentrano pericolosamente su di lui, eletto a rappresentante del genere umano e dei suoi misfatti.
[…]Fugge dagli altri, dicevamo, ma soprattutto da se stesso, dalle sue stesse colpe, quelle di tanta umanità. Non è una colpa forse ignorare Dio ogni volta che lo cerca? Nonostante le tante dichiarazioni contrarie? di cambiare addirittura volto pur di sfuggirgli?
[…]
Santino Spartà è un peccatore recidivo che stenta a vincersi perché non riesce soprattutto a trovarsi ("Io sono il mio peccato, Signore/ e lo riconosco appena"). E stranito gira su se stesso senza riconoscersi ("perché io continuo a non essere/ ogni volta me stesso?") in un vortice senza uscita che fa scadere la sana inquietitudine delle prime due sezioni nella condizione di sempre più aperta e conclamata ossessione imperante nelle successive. Dove il paesaggio si arricchisce di un altro sorriso, molto stirato, vagamente fisso e vago: quello della lucida follia. Santino Spartà, sfortunato cercatore di Dio, al colmo della disperazione, ricorre ad un estremo escamotage: l'intervista al mistero, per conoscerlo e racciontarlo a puntate.Vorrei intervistare il mistero è infatti il titolo della terza sezione del libro. Spartà sa bene il peso assurdo di questa ipotesi, ma proprio su quello conta. Spera che la sua insita somma ingenuità possa alfine disarmare il Signore e vincerne la ritrosia a rivelarglisi.
E per ottenere il suo scopo, in questa sezione, come nelle successive (Quando aprirai la lettera; Rincorro l'eterno; Mi sono innamorato) lo perseguita in tutti i modi, con lettere, telefonate, richieste di appuntamenti, ammiccamenti, speranze di rimanere innocente per non dover più litigare col mistero, innamoramenti con dichiarazioni d'amore e di passione.
[…]
Il tutto in un frenetico concitato rapporto nel quale chi ha la peggio, si direbbe, è sempre Dio.
Spartà in questo duello amoroso, a direzione unica, conserva sempre la sua innocenza: se parla di sé le sponde sono azzurrissime, quando piange vorrebbe che le sue lacrime fossero raccolte in una rosa e per lui si augura un mare d'essenza, mentre per la cattiveria degli uomini solo "gocce".
Come appare invece Dio che alla fine si scopre essere la versione umana, il Cristo?
All'inizio è un'entità sola (giusto qualche lucciola intorno) triste (con volto d'incerto") e infelice (senza nome né casa"), ora con occhi assonnati per il troppo vegliare e abbigliamenti discinti o con uno scialle intorno al collo, supporter di Spartà nell'ascesa alla roccia, o orfano con una casetta di gesso sui monti reali senza speranza, infatti qualora volesse rincarnarsi non troverebbe nessuno a seguirlo.
Poi, dopo le prime sezioni, Dio così contrito e afflitto scade a Divo.
[…]
A questo punto non c'è da meravigliarsi se talvolta gli si pari dinnanzi "terribile ed enigmatico", sempre però irreparabilmente "muto".
Santino Spartà comunque fino alla fine non demorde, raccoglie le sue candide parole, infiocchettate di metafore, le pigia nel fardello di un libro, che sigla con tenace tenera promessa (giusto agli infedeli può suonare come vaga minaccia): "Continuo a cercarti", e prosegue la questua.
Di sicuro successo, se solo, accantonato il "pruriginoso" rapporto interpersonale, Spartà vorrà seguire la strada scoperta nell'ultima poesia della raccolta, dove nel crescendo di un rosario di ringraziamenti, Dio si manifesta e ribolle nel Santo Graal della molteplice materialità della vita reale. Che chiede solo di essere dipanata sempre più, e al meglio.