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ESTRATTO


Dario Fo: Il Duomo di Modena è patrimonio della comunità, prima che dell’umanità

di Nadia Cavalera

Bollettario n°42

Dario Fo, Il tempio degli uomini liberi
Franco Cosimo Panini Editore, Modena 2004
disegni di Dario Fo, foto di Ghigo Roli
pag. 238, € 20


Bilancio positivo al massimo per la lezione/spettacolo “Il tempio degli uomini liberi - Il Duomo di Modena”, tenuta da Dario Fo, a Modena, per tre serate consecutive (18, 19 e 20 luglio), e che per il tutto esaurito ha reso necessari, ben altri 2100 biglietti aggiuntivi, ma solo per posti in piedi. E sicuramente, secondo qualche esperto, a ben organizzarsi, viste le lunghissime file affrontate, si poteva arrivare anche a 4000 spettatori per ogni appuntamento.
Curiosità, rinnovato interesse, scuotimento dal solito torpore interpretativo, sorpresa sono state le reazioni principali da parte degli spettatori. Ma sorpreso è rimasto anche il Maestro nel registrare una risposta così entusiasta alla sua iniziativa. “Non immaginavo” ci ha confessato, a conclusione, “una tale attenzione e una corrispondenza così grande”. Ma probabilmente come il male rimbalza spesso su chi lo produce (un tema ricorrente in questo lavoro), anche il bene ha talvolta un effetto boomerang. E Dario Fo ha molto amato il Duomo, simbolo della città, sin da giovane, dal tempo dei suoi studi artistici all’Accademia di Brera e di architettura al Politecnico. “È stata una delle costruzioni che mi ha colpito di più, insieme al Duomo di Pisa, di Pavia, anche il Sant’Ambrogio, perché sono opere poderose costruite non da grandi artisti, ma da semplici scalpellini, operai, muratori ” ricorda per poi aggiungere che, data la propria origine (la provincia di Varese), il Duomo l’ha sentito inoltre come legato al suo Dna: “vengo da un paese romanico, e da una zona in cui ci sono stati i Comacini, famosi capomastri… tra il lago Maggiore, quello di Como e di Lugano”.
E comunque la scintilla che ha fatto materializzare la sua lezione magistrale, si direbbe, casuale. Precisa: “Sono venuto a Modena, qualche mese fa per visionare il Duomo, ma solo come possibile scenario della storia del teatro medievale che volevo scrivere. Il mio intento era quello di trovare una scenografia, invece ho trovato il protagonista di un’altra vicenda molto più stimolante: il Duomo stesso, carico della storia degli umili fin nei suoi artefici, eccellenti, ma paria della cultura ufficiale”.
Venuto dunque per un’indagine esplorativa, per trovare una scenografia adatta al nuovo lavoro che progettava, e dopo aver girato le chiese romaniche più importanti, ritrovatosi dinanzi alla singolare magnificenza del nostro Duomo, col vecchio amore, illuminato dall’aumentato bagaglio culturale, non ha avuto dubbi: “È questa la storia che racconterò” si è detto e trovare l’appoggio del solerte editore Franco Cosimo Panini e del neo sindaco Giorgio Pighi (ancora emozionato da una simile entrée operativa), in concerto con la Rai (che trasmetterà a settembre lo spettacolo) è stato poi facile. E sorprendente.
Il tutto è avvenuto infatti in due mesi: documentazione, immagini, testo, tavole, disegni. Grazie alla complicità della preziosa Franca Rame, ma soprattutto alla profonda conoscenza di Fo nel campo, (non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa) che subito, coi raffronti, gli ha spianato la via alla lettura interpretativa, ormai inderogabile: “Per le sculture, non ci si poteva più limitare a elencarle e basta, senza commentarle, senza coglierne le chiare allegorie, tanto più che nei grandi scultori, nei grandi architetti tutto è realizzato con una ragione ben precisa e in questo caso neanche tanto recondita, tanto nascosta”.
Il Duomo di Modena è, per il Nobel Dario Fo, la testimonianza in pietra della presenza attiva dei cives populares, della loro volontà di affermazione, il sogno di un’intera comunità che tenta di sganciarsi dai poteri oppressivi del Papato e dell’Impero, impegnati perennemente nella rincorsa dell’egemonia, del potere universale. È evidente ciò nel riconoscimento concesso agli artefici, che per la prima volta firmano un loro lavoro (l’architetto Lanfranco, lo scultore Wiligelmo, ma anche, per le epigrafi, il magister scholarum Aimone); nella predilezione verso tematiche riguardanti il mondo del duro lavoro dei più, quasi una denuncia del loro costante stato di soggezione, aperta dalla coppia dei progenitori, Adamo ed Eva, commoventi nei loro rozzi panni di rustici medievali, a ricordarci che tutti deriviamo da Caino, contadino prima, poi homo faber, costruttore. E questo a discapito di argomenti più prettamente religiosi.
“Manca infatti nel Duomo di Modena” continua il Maestro “la presenza di Cristo, della Madonna, dello stesso Paradiso. Ci sono sì storie di santi, ma relegate negli angoli, in posti non tanto significativi. E mancano le rappresentazioni dei peccati capitali e tutte le parti più orribili e negative della Bibbia, come l’ordine inflitto da Dio di distruggere un intiero popolo, solo perché antipatico. Si impone invece, ad una analisi più attenta, la presenza di una visione polemica, irridente, terrorizzata talora, negli spettacolanti , dai danzatori ai giullari, nelle figure degli Antipodi, nella figura rarissima del centauro femmina “.
Osservazioni inconfutabili delle quali è strano che gli Storici non si siano accorti prima. “Ho scoperto invece ” chiarisce Fo “che lo sapevano benissimo e se non l’hanno mai scritto finora è stato solo per problemi di censura, non quella ufficiale, ma quella ufficiosa, comunque non per questo meno perniciosa. Problemi dei quali io non mi sono mai preoccupato”. E la sua lunga coerente carriera artistico-letteraria, puntellata di decine e decine di processi lo sta a dimostrare.
Dario Fo rimane uno straordinario sovversivo doc, e peccato che, nell’epoca della riproducibilità tecnica, il suo stampo sia irreperibile.



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ultimo aggiornamento: martedì 7 settembre 2004 12.29.25
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