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ESTRATTO


Il caso Balestrini

di Nadia Cavalera

Bollettario n°42

Nanni Balestrini, Sandokan
Giulio Einaudi editore, Torino 2004
pag. 134, € 13


Nanni Balestrini è un «avanguardista impenitente», ha scritto Angelo Guglielmi, in un suo articolo su «La Stampa», ma si direbbe piuttosto un avanguardista pentito, se si dovesse dare credito alle citazioni riportate da Guglielmi1 , e per le quali lo stesso Balestrini dichiara di diffidare dello scrittore come pensatore; declina ogni assunzione di responsabilità ideologica nei riguardi dei suoi testi, e relega il compito dello scrittore a quello di puro artificiere di parole. Come colui che, semplicemente, le mette in contatto e poi sta a vedere l’effetto che materialisticamente producono. A livello insomma dello sperimentalismo più becero, poiché ozioso e inconcludente, oppure, pensando alla sua prosa, del neorealismo ultima maniera, bozzettistico, svuotato di qualsiasi capacità critico-propositiva, e d’intrattenimento dopolavoristico, pernicioso per pubblico effetto soporifero inducente. Così che i testi narrativi di Balestrini da romanzi-documento scadrebbero di colpo a documenti romanzati, della peggior specie per lo spettro incombente dello scrittore nei panni di una Liala rediviva, giusto sociologizzata, semmai per postuma vendetta della titolare, tesa forse a smascherare reconditi motivi, secondo lei, di qualche pregressa operazione culturale, o per imprevedibile beffa ineffabile della storia “sventrata”.
Ma se tutti, e sottolineo “tutti”, hanno una propria visione del mondo, subíta, personale, coltivata, d’accatto, sfocata., anche solo rubata, perché fortemente condivisa, amata, e, seppure non ne abbiano chiara coscienza, la dimostrano comunque nei fatti, con le loro convinzioni, scelte, azioni, con tutta la loro vita, a maggior ragione dovrà averla uno scrittore, che opera con lo strumento più delicato, creativo e esplosivo possibile: la parola.
Qualsiasi scrittore. Tanto più uno scrittore d’avanguardia che per definizione si pone antagonisticamente al già dato e in virtù di un progetto esistenziale altro, diverso. Per il perseguimento del quale necessita, è condicio sine qua non, la volontà razionale che si estrinseca non certo in una performance istintiva, nature, casual, ma nella piena consapevolezza del proprio operato.
Quella che in verità mi pare di ravvisare in tutta l’opera narrativa di Nanni Balestrini, dalle prime prove all’ultima, “Sandokan. Storia di camorra”, dove quello che conta non è tanto la storia in sé (la cattura del boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, cui segue il racconto in diretta, tramite un testimone, del degrado massimo di un paese soggetto a camorra), già nota per le cronache giornalistiche, i tanti dossier e speciali televisivi (anzi non mi meraviglierei affatto che proprio un documentario sia stata la fonte principale di questo lavoro; mi pare se ne conservi ampia traccia nella struttura del taglio formale), ma l’allegoria a cui rimanda. Infatti se la camorra fosse un fatto solo circoscritto ad una realtà sarebbe sempre orrendo, ma comunque controllabile. Il guaio è che la prassi camorristica o mafiosa, ha ormai pervaso di sé tutti gli ambienti dell’operare umano, se ne voglia prendere atto o no, così che la situazione è tragica, un vero azzeramento di valori, dove a fare la parte di muschilli oggi sono tanti e tanti onesti lavoratori, disseminati ovunque, anche schiere di intellettuali, manovrati a piacimento dal boss di turno, per il ferreo controllo di un qualche territorio o la realizzazione di filiali ovunque possibile. Non si prevedono sgarri, né sana concorrenza ma eliminazione se non fisica, almeno dell’azione e della memoria di chiunque possa fare solo ombra. Basterà scappare per risolvere la situazione? Come fa il testimone confesso di Balestrini? Non lo so. Certo bisognerà cominciare ad alzare la testa, reagire.
Anche se il fiume di parole nella prosa balestriniana non sembrerebbe dare scampo. Costruito sempre in scarni capitoli fatti di lasse che seguono nella lunghezza il ritmo del racconto, il testo se in passato conteneva almeno, qua e là, il punto fermo, creando talvolta una prosa sincopata a dirci la difficoltà del rappresentato, ora invece ignora qualsiasi segno d’interpunzione ed anche i nessi sintattici. Siamo di fronte ad una colata linguistica increspata qua e là dalle lettere maiuscole a indicarci i discorsi diretti o i nomi di persona, che accentuano ancora di più l’effetto di naufragio verbale, ma soprattutto esistenziale e morale. È tutto un accalcarsi di frasi/fatti che precipitano verso l’ineluttabile deprecabile fine/apocalisse. Un testo insomma che ben s’inquadra nell’ultima forma possibile di avanguardia oggi.
Ma allora, è questo per Balestrini un ultimo incontrollato sussulto avanguardistico , mentre è in atto un processo di pentitismo teorico? C’è un utilizzo infelice di sue dichiarazioni da parte di Guglielmi? O si tratta di un qualche stratagemma per ampliare l’utenza di lettori, altrimenti scoraggiati da parole ormai demonizzate dal potere, checché se ne dica, dominante? Pensiero!? Ideologia!? Macché non esistono!!! Non servono! (forse che il numero unico della rivista “La Bestia” da lui fondata nel 1997, anticipava questa logica?)2 . Venite, venite, sembrerebbe dire Balestrini, io cercherò senza dirvelo, in maniera indolore, di inculcarvi la mia, di ideologia. Nel pieno adeguamento alla comune diffusissima comunicazione subdola, quotidianamente perseguita dalla controparte. Sarebbe dunque una scelta machiavellica? Discutibile.Da discutere.


1 - «Diffido un po’ dello scrittore come pensatore: ci sono i filosofi per questo. Il compito dello scrittore non è quello di proporre visioni del mondo o indirizzi ideologici. Lo scrittore deve dare corpo alle energie, alle contraddizioni, anche al negativo che muovono il mondo. E questo attraverso la materialità della scrittura» (da La Stampa, Tuttolibri, 5 giugno 2004).
2 - E in effetti la disaffezione al pensiero è testimoniata anche dal fatto che, ai recenti Esami di stato, la traccia per il saggio breve (o articolo di giornale), nell’ambito socio-economico, era: “La riscoperta della necessità di «pensare»”.



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ultimo aggiornamento: martedì 7 settembre 2004 12.29.25
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