Rossana Roberti ha fatto un lungo cammino da femminista, si è sempre distinta in ambito lavorativo, è, ora, felicemente in pensione, scrive poesia e se ne occupa da tanto, ma non è soddisfatta. Dentro di sé cova un sospetto, o meglio una certezza: che la sua storia personale sarebbe stata diversa, più piena, soddisfacente, se solo il rapporto con la madre, dura, lontana dalla sua sensibilità, chiusa nei suoi rigidi valori, doppiamente muta, (e di fatto, essendo di poche parole, ma anche affettivamente), fosse stato meno conflittuale e castrante. Convinta com'è che se la madre avesse avuto più fiducia in lei, anche lei ne avrebbe avuta di più in se stessa, si sente quindi fortemente creditrice nei suoi riguardi. Perché la madre (sostiene esplicitamente) mette al mondo due volte: e al momento della nascita e quando accetta un figlio. Lei, venuta alla luce, si è invece sentita sempre rifiutata. E apostrofa la madre duramente. La chiama "madre di legno/ dai seni disseccati". E la rimprovera di averla tenuta digiuna d'amore, legata a sé. La dice anche "madre di ferro" che l'ha modellata e squadrata come semplice oggetto, irrispettosa della sua alterità: "la tua scure pronta implacabile m'ha tagliato/ ogni germoglio che m'avrebbe fatta altra da te".
Di qui nasce "Maternale" (da cui sono stati tratti i versi riportati prima), una piccola plaquette di 24 poesie, per lo più molto brevi, in versi liberi e puntuti, dove il referente è appunto la madre, citata apertamente molte volte, ma sempre comunque aleggiante nello sfondo di ogni riflessione.
La figura della madre è presente già nel titolo, intrigante per la sua polisemia. "Maternale", come sinonimo di "materno", attinente quindi alla madre, ma anche e soprattutto, per me, come "sgridata della madre", giusta innovativa variante femminile del comune termine "paternale". Il testo rappresenta le conseguenze della condizione di costante avvilimento a cui la vita dell'autrice sin da piccola è stata sottoposta, mette in scena lo stato di solenne rimprovero persistente vissuto da bambina, evoca la violenza subita. Per quale colpa? Voler essere semplicemente se stessa. Di contro ad una madre, che, pur in buona fede, (ritenendosi vincente), comunque egoisticamente, la ignorava e cercava solo di forgiarla a suo clone.
L'intera operazione poetica mira a inquadrare il fatto, prenderne le distanze, neutralizzarlo, infine metabolizzarlo e superarlo.
È in quest'ottica che la "sgridata della madre", si carica di un altro senso, diventa "sgridata alla madre", dando luogo, dopo l'opera di distanziamento, alla metamorfosi dell'autrice in madre lei stessa, quando può dire liberatoriamente, dopo il travaglio di un'intera vita, "oggi in me ti rinasco".
Solo "la madre è la porta aurea del mondo" ribadisce infatti la Roberti, in uno scambio di battute con Merys Rizzo, a chiusura della silloge. Se questo meraviglioso viatico d'amore viene meno, il percorso per ogni figlio è durissimo. Come lo è stato per lei. L'ha svolto comunque e concluso, approdando alla poesia, che ricrea sulla carta, nei mattoncini dei segni (come li chiama lei stessa), l'ordine sconvolto nella vita, cerca di "farla ragionevole e accettabile".
In mancanza della madre, Rossana Roberti si è relazionata con le parole della poesia, di cui apprezza la forza creatrice. La poesia è per lei infatti coautrice del mondo. È "parola che rivela l'Essere", anzi "coincide con l'Essere".
"Maternale" quindi, si configura come un regolamento di conti a lungo sospesi, taciuti, opprimenti, e che, fissati in parole, perdono "l'eco dolente" e diventano "segno lucente" di affermazione del sé soffocato/liberato, e prova, se non di riappacificazione, almeno di tollerante comprensione. Quella che la Roberti, appagata alfine dalla forza chiarificatrice della poesia, e dopo aver ricreato in sé l'amore mai avuto, può finalmente concedere, nei versi conclusivi della raccolta: "ora mamma se vuoi/puoi prendermi in braccio".