Salentudine è una raccolta di nonsense in dialetto galatonese (detto anche galateo), la "lingua materna" dell’autrice, qui ad un punto nodale della sua ricerca e sperimentazione. Dopo la scrittura in lingue diverse (americano, latino, francese) e il ricorso, normalmente, ad uno sfrenato plurilinguismo, l’uso esclusivo del dialetto di Nadia Cavalera non va visto come un’operazione nostalgica, frutto di mero lirismo o espressionismo, ma come momento di totale disincanto e allegoria dell’impellente necessità di tornare ad un "grado zero" della scrittura. Il mondo va riscritto sembra il monito apocalittico che proviene da questi quadretti, più di cento sghembi limerick in lunga filastrocca, uno per ogni paese e frazione della provincia leccese, presa a campione per l’illustrazione di un novissimo Erewhon. Dove, tra una realtà freneticamente incongrua (che coinvolge parimenti animali, uomini e cose) e una più incongrua comune ricezione e considerazione della stessa, si celebra il trionfo dell’assurdità più allucinante. Da cui ripartire.