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ESTRATTO
Capitolo 12
Roberto Di Marco
La donna che non c'è
Continuo la cronaca: alle mie vecchie carte non volevo tornare: erano i cimeli non più utili d'una vita laboriosa e movimentata nel corso della quale avevo sempre rimandato al domani ogni speranza vera, e quando una nuova speranza - benché incerta e/o contraddetta - era fugacemente apparsa per me (lo decidevo io) era già tardi.
Con ciò non restava che abitare il mio prato sino alla fine, non mi restava che tornare al mondo della finzione per tentare di pervenire, da lì, alla verità ultima e definitiva (non solo l'amore che non è di questo mondo, ma anche lo stesso mondo che non è di questo mondo). Sta di fatto che nel mondo vergognosamente iniquo nel quale viviamo pochi comprendono che senza l'utopia dell'amore intesa come forza sociale liberatrice della vita di tutti, una vita nuova non sarà mai.
Ma quello della finzione è un mondo accidentato: può accadere di tutto, può accadere persino (e lo vedremo meglio quando con me ci sarà Erina) che lei, la donna che non c'è, sedendosi sulla poltrona rivestita di velluto giallo, con seduttiva noncuranza mostrasse le sue gambe dorate del cui fascino non dico (ho il mio pudore e me lo tengo). Ciò contro ogni mia aspettativa poiché lei non proviene dalla stirpe di Erodiade. Tuttavia, essendomi accertato che proprio lei non era (non poteva: era partita per terre lontane), non potei fare a meno di ammirare quelle gambe (ma del loro fascino continuo a non dire: conosco qualcuna che potrebbe aversene a male). Nella mia vita, pensai, di gambe belle ne ho viste tante (da cappuccetto rosso alla bella addormentata nel bosco alla stessa Giulia che però ha le gambe da Atalanta: gambe da corsa) ma in esse c'era sempre un segreto (per accrescerne la venustà?): lunghissimi e faticosissimi massaggi (talvolta il massaggiatore dovevo essere io stesso), uso continuo di creme depilatorie, scelta accurata di calze e scarpe, ginnastica e altro. Tutte cose, continuai a pensare, che tolgono luce di vita a sé e ad altri. Tuttavia mi scoprii ad immaginare come fossero le gambe di lei, gambe che amavo senza averle mai guardate. Accade: che male c'è? Per dirla tutta: un giorno ricevetti questo messaggio: "ce l'ho in fiamme - vienimela a spegnere!" io risposi con questo messaggio: "sì, te la do io l'america!". Ecco, lei non era quel tipo di donna. Ma ne sono certissimo: ha belle gambe, lunghe e paffutelle (che io però, per intanto, non voglio vedere - e spero che lei non se ne abbia a male - perché sennò giudicherei superficiale - giumentale ho detto talvolta - il mio amore per lei - a parte che so quanto un nesso non misurato tra sentimentalità e fisicità possa essere nemico dell'amore).
Talvolta mi accade di pensare che se la vedessi interamente nuda (al mio fianco però, in un comodo sofà d'altri tempi) le bacerei soltanto i piedi, uno alla volta, e poi rimarrei incantato ad ammirarla per ore: come farei con la Maja desnuda o con la Madonna di Loreto, e lei, amo credere, mi capirebbe e non si aspetterebbe altro (o se l'aspetterebbe, com'è giusto che sia, ma allora dovrei avere molta cautela). E poi? non v'impicciate. M'è accaduto così un'altra volta, con un'altra donna, e poi finì che facemmo tre figli uno dietro l'altro, ma lei poi mi abbandonò perché voleva la violenza del maschio-padrone (infatti la trovò appena girato l'angolo). Ma queste digressioni fanno riflettere qualcuno? Ci mancherebbe. Al più possono (e in realtà forse vogliono) rafforzare in qualcun altro la spinta alla masturbazione pre-serale. Dipende dall'uso che delle parole fa l'immaginario altrui: è così.
Io però, già che ci sono, continuo nelle confessioni (en attendent la nuit). E qui, come altrove accade ma nel rispetto della consecutio, si parla a vanvera: l'intento è: che nella rete rimangano impigliati altri significati, significati differenti. La dico tutta: i significati reali stanno laddove non ci sono significati. Dunque si rischia il fallimento. In vita mia non ho mai frequentato l'amore mercenario, o il semplice scambio sessuale fine a se stesso o il cosiddetto libero amore quand'era di moda. Volevo di più: mi arrangiavo alla meglio con lei che "quando camminava sembrava una vacca ubriaca, mi accompagnava per le strade del mercato, poi ci salutammo mentre io ammiravo un bellissimo esemplare femmina di dromedario. Lei disse: "Pochi minuti sotto le onde del mare sono una morte dolcissima!" - E schiuse le labbra in un sorriso luminoso." Ciò ha un senso? ne ha tanti, ma scopriteli voi.
C'entrava la mia idea di corporalità? forse, ma sull'idea di corporalità bisogna intendersi: nella vita tutto (ma proprio tutto: anche sentimenti pensieri paure e altre mentalità) avviene nel corpo, è corpo, ed è astratta, superficiale, la distinzione dentro/fuori riferita al soggetto umano (il materialismo incarnato della Rosi Braidotti, pur interessante, nonostante la stima mi convince poco). Abolito l'errore di Cartesio (infine ha provveduto Damasio), anche le più profonde spiritualità e sentimentalità dobbiamo considerarle come specifiche dimensioni della corporalità. Ma il problema difficile rimane quello dei molteplici e diversi nessi che nel vivere (come corso e/o processo) si stabiliscono (grazie soltanto alle sinapsi?) fra le diverse dimensioni della corporalità (la quale, peraltro, e le cose si complicano, fuori dal suo contesto esterno sociale-storico e mondano non ha mai reale realtà). E dunque io volendo di più che cosa volevo? Devo dirlo? lo dico ma così continuo la confessione-cronaca: volevo l'amore come unione di corporalità diverse (mancanti l'una dell'altra), e nella quale unione (già di per sé socialità) fossero presenti e attive le diverse dimensioni di ciascuna delle due diverse corporalità: per fare mondo e cambiare la vita. Utopia? certo, perché in questo mondo nei rapporti d'amore possibili (i più impensati oramai) le dimensioni che partecipano della corporalità sono sempre ridotte o rimosse o escluse (e ciò accade più all'uomo che alla donna residuale dopo millenni di patriarcato).
Dunque - ed è difficile - "chi mi ama mi segua". A suo rischio. E si scoprirà che chi mi ama risiede altrove, molto molto molto distante da me (e si tratta, voglio sperare, della farfalla azzurrina ch'è nel lago Pilato, sopra i monti sibillini, trasformatasi in pesce d'acqua dolce per non morire di mal d'aria). Intanto se nel messaggio per me, dopo giorni d'incertezza e dolore lei scrive "Ora voglio parlarti dei colori dei fiori" ho cento volte ragione: l'amore non è di questo mondo, ma per fare mondo e cambiare la vita è necessario l'amore che non è di questo mondo. Ma vado in soffitta e procedo. Devo dire (e mi riferisco alla mia esperienza non sempre lineare) che allora poche donne mi capivano (ora di meno: c'è la TV digitale), o finsero di capirmi, aspettandosi poi chissà quali raffinatissimi piaceri, o rinunce o licenze. Forse sbagliavo, o forse cercavo invano qualcosa (un appiglio per ricominciare): la verità dell'amore nell'amore che non c'è che è - un tempo così pensavo - la verità biblica del vero frutto proibito. E un giorno, mentre leggevo con profondo intendimento il libro di Giovanni sull'Apocalisse, venne da me Smeralda per chiedermi un cerino. "Vado in giro a cercartelo!" le dissi. E andai. Quando tornai con l'intera scatola lei s'era già tolta persino le mutandine. "A che ti serve il cerino?" le domandai facendo finta di nulla. "A riscaldarmi" rispose, "tutti dicono che sono fredda!" aggiunse. "Fai pure!" le dissi. E uscii dalla stanza. Il fatto è che sin da ragazzo cercavo nell'amore la conoscenza, e infatti dicevo sempre (e ne sono convinto ancora oggi): "L'amore è conoscenza felice!" - e intendevo conoscenza in generale che si acquisisce (e non finisce mai avvalendosi poi di altre vie e di altri mezzi) a partire dal rapporto-incontro tra le due diverse corporalità che si amano e amandosi diventano vita e fanno mondo insieme ad altri esseri umani.
Mi domando: troverei la conoscenza che cerco se un giorno lei fosse nuda in amore con me in modo da poterla ammirare e amare cognitivamente come l'amo io? in questo mondo sicuramente no, per via dei condizionamenti d'altra e varia natura cui entrambi siamo soggetti. Intanto però troverei luminosi frammenti di conoscenza sovrasensibile già nel suo sorriso e nei suoi ricami di gesti e parole. Il problema sarebbe: e se poi lei nuda al mio fianco s'aspettasse altro? Suppongo che ciò possa accadere, ma se accadesse avrei sbagliato io nella fretta che la sentimentalità impone. Dunque conservo la fede nella ultramondanità del mio amore per lei. Ultramondanità che può anche essere intesa come emanazione dello Spirito Santo. E con ciò?
Ma quando arriva "l'impeto d'amore che vuol essere appagato"? E a questo proposito mi accorsi che Rebecca era ancora lì, nei dintorni. La chiamai. Venne. "Devi mangiare!" disse. "Lo farò" risposi, e la guardai: aveva i begli occhi bagnati di pianto. Tra me e me pensai: "Ho visto di tutto nel mondo, ma dal Tamigi allo Yang-tsè due occhi così non li avevo mai visti!" e me ne andai in cucina per il pranzo. Con lei.