Come ho conosciuto Guido Gugliemi. Correva il maggio del 1978, stavo organizzando un convegno nazionale sullo stato della poesia, il lavoro si presentava bene, allettante, mi feci coraggio e telefonai a Luciano Anceschi, forse la sfrontatezza della gioventù, forse il lungo elenco degli invitati, forse l’entusiasmo a vele spiegate, quest’ultimo fu decisivo, me lo avrebbe rivelato nel corso degli anni. Con mia enorme sorpresa, mi dette un appuntamento. Ero alla ricerca di un critico di grido che concludesse i lavori del convegno, Anceschi che mi ricevette nel suo ufficio all’università di Bologna, fu prodigo di consigli, con una fare tra l’autorevole e il paterno, mi affascinò con la sua parlata diretta, semplice, l’infallibilità degli umili. Mi propose una troika, Barilli-Gugliemi-Sanguineti, - Scelga - mi disse, mentre si sistemava il telefono a portata di mano, pronto alla chiamata di rito. Non m’aspettavo tanta manna, né mi pareva verosimile che uno di quei nomi per me irraggiungibili, fosse così a portata di mano, e francamente non ricordo le ragioni che mi spinsero a dire - Guglielmi - (anche se negli anni a venire sarei divenuto amico d’entrambi gli esclusi, soprattutto con il primo si sarebbe aperto uno stretto patto di collaborazione).
Lasciai l’ufficio d’Anceschi con l’impressione di aver toccato il cielo con un dito, dopo pochi minuti ero già sistemato davanti al prof.Guido Guglielmi che mi accolse con altrettanto calore e interesse, evidentemente preparato a dovere.
Così nacque un rapporto di stima reciproca, facemmo spesso in macchina la spola tra il centro di Bologna, dove lui abitava e la sede del convegno, la Biblioteca Comunale di Crevalcore, accanto alle alti doti letterarie ebbi modo d’apprezzare anche quelle umane.
Il sodalizio che non si è mai interrotto né attraverso gli Anni Ottanta che i Novanta, tra alti e bassi, così ovvi tra chi conosce il bislacco mondo della poesia, ha registrato un forte, e ancor più bello perché inatteso, ritorno di fiamma, tra il finire del Novecento e l’inizio del nuovo Millennio. L’occasione, l’uscita del mio ultimo libro di poesia, anche in questo caso ero alla ricerca di un critico che potesse valutare a tutto tondo il mio lavoro, e la scelta cadde su un nome secco, Guido Guglielmi. Lo chiamai, accettò con fervore e piglio giovanile la mia proposta e nel giro di qualche settimana mi fece recapitare un paio di cartelle come al solito lucide, penetranti, centrate. Accompagnava il testo una cartolina manoscritta, dove tra l’altro, da quel gran signore che era, scriveva - dopo tanti anni passati, sono stato davvero felice di leggerti -.
Approfittai della sua buona vena per invitarlo a presentare direttamente il libro alla Feltrinelli di Modena, forse neanche tanto inconscio il mio desiderio di voler replicare dopo oltre un ventennio il nostro primo incontro.. Quando sbucò dal treno, alla Stazione Ferroviaria, fu sufficiente una stretta di mano per stabilire d’incanto il clima di allora, ricordo che impiegammo oltre un’ora a raggiungere la libreria, tra soste, chiarimenti, caffè, sembravamo due vecchi amici che si ritrovano e hanno un sacco di cose da dirsi.
La sua orazione fu esemplare, e dopo confermò la sua disponibilità anche per ulteriori collaborazioni, nell'ambito dell'iniziativa (Scrittura balsamica a 360°), varata con Nadia Cavalera e Le Avanguardie.
Certo, nel corso di una vita ha dispiegato un poderoso apparato critico, a me ha sempre colpito quella sua capacità di andare subito al cuore delle cose, di operare rapidi e indelebili distinguo, come ancora una volta è successo con quello che forse è il suo ultimo scritto, una mezza paginetta scritta per i 75 anni di Elio Pagliarani (su l'immaginazione, 190).
Addio caro professore, con quella tua aria tra il trasognato e il bohemienne, davi da capire che avevi già capito tutto.