Gio Ferri
Guerra e poesia
Afghanistan 7 ottobre 2001
1. La poesia e la guerra.
Non so più scrivere poesia d'occasione, nemmeno di fronte allo sgomento della guerra. Forse potrei farlo se vivessi in prima persona gli orrori dell'Afghanistan, o avessi vissuto in prima persona gli orrori di New York. O qualsiasi altro degli orrori che serpeggiano, e sempre hanno serpeggiato, fra le tragiche pieghe della storia.
Ma dovrei vivere tutto questo sulla mia pelle per toccare con la mia parola, con il segno l'intima, ultima, sostanza della maceria umana e cosale. Forse non parlerei nemmeno della guerra, anche in quel caso. Ma guarderei le piaghe da vicino. Cercherei di cogliere la bufera delle desolazioni. O i luminosi sorrisi della incoscienza infantile.
Negli anni sessanta vissi in prima persona alcune battaglie (non certo paragonabili a queste, ma a queste non estranee) e perciò mi capitò di scrivere poesia impegnata (come si diceva). E qualche verso fu forse efficace anche sotto l'aspetto essenzialmente poetico. Se non si realizza un'efficacia poetica è inutile scrivere in poesia. Ci sono tanti altri modi più icastici per esprimersi nella prassi. Perciò adeguai il mio spirito (poetico) di rivolta alla necessità di scardinare il linguaggio della più bieca prassi utilitaristica, la retorica della menzogna (anche 'di sinistra'), penetrando (per quanto possibile) le viscere della parola, del segno. Estraendole e mostrandole quelle viscere alla maniera dei profetici aruspici.
Cosicché mi avviai su quella strada della profonda ambiguità dell'essere che non può prestarsi alla plateale - ancorché sovente necessaria - violenza ideologica o anti-ideologica che sia. Non scrivo poesia di guerra o di pace perché non voglio mettermi al livello di quei poeti (o presunti tali - salve rare eccezioni) che sono stati pubblicati recentemente da un mensile di letteratura con ampio spazio pubblicitario nelle pagine culturali di un notissimo quotidiano. Quei poeti non parlavano tanto della violenza indiscriminata, ma piuttosto in forme bassamente (e falsamente) nostalgiche della perdita insostituibile delle Torri gemelle.
Ora io credo che siano da piangere (meglio se in religioso silenzio) i morti, quei quattromila di New York e quei milioni che ogni anno, nel cosiddetto Terzo Mondo, donne vecchi e bambini, crepano per fame e per malattie - grazie alla politica economica neocoloniale e globalizzante dell'Occidente, cosiddetto civile. Una poetessa che va per la maggiore (ma maggiore non è - anzi non so se possa nemmeno dirsi una poetessa) ha innalzato alle torri un canto d'amore, quasi fossero simboli fallici.
Mentre (al di là della modestia architettonica dei due banalissimi parallelepipedi), se vogliamo andar per simboli, non è necessario che vengano i criminali terroristi a dirci che quelle torri simbolo erano sì, ma della politica economica distruttiva e aberrante dell'Occidente. Dello sfruttamento irresponsabile ed egoistico delle risorse mondiali. Comunque, insisto, piangiamo i morti delle torri non le torri! Li avremmo pianti, anzi di più, anche se avessero abitato misere capanne.
2. Lo scontro.
Ovviamente non posso rimanere estraneo a simili tragedie. Ma non lo sono mai stato: poiché si tratta di pura retorica massmadiatica ribadire con insopportabile insistenza che nulla sarà più uguale dopo l'11 settembre 2001. Sarà tutto uguale. Come sempre. Dalle caverne, alle vicende bibliche, a Dacau, a Hiroscima, ad oggi.
Non si parli - basta con la menzogna! - di guerre di civiltà, di religioni, di democrazia, di libertà, e simili mascherate della vergogna e dei rimorsi che stanno dentro di noi, e che teniamo astutamente, in malafede, ben nascosti.
Questa, come le altre, attuali e del passato, è la contrapposizione trasversale fra i ricchi dominatori (magnati occidentali, multinazionali, mafiosi russi e italiani, sceicchi mediorientali, dittatori africani e latino americani armati dall'Occidente) e i poveri oppressi , se non sistematicamente eliminati, di ogni latitudine e di ogni stato. I ricchi dominanti quasi sempre fanno lauti affari insieme, e a volte, poiché al tavolo dello sfruttamento economico non vanno del tutto d'accordo, regolano i conti spedendo i loro sudditi ignari o illusi al massacro.
Questa, come le altre, attuali e del passato, è la contrapposizione fra il 20% dell'umanità ricca o benestante (un miliardo) che consuma l'80% delle risorse mondiali, e l'80% (oltre quattro miliardi) al quale rimangono gli scarti - sovente velenosi e inquinanti. I poeti che piangono le Torri dovrebbero ricordarsi del fatto che fanno parte di quel 20% di privilegiati. È su questo loro peccato che dovrebbero meditare e poetare.
3. Il sogno.
Ho fatto un sogno. Era un sogno, e quindi fantascientifico, irreale, fantapolitico. L'Occidente (Europa, USA e Russie) si univa saldamente sotto un unico governo mondiale di poeti, artisti, intellettuali saggi e illuminati.
Questi intellettuali, resisi conto di quel problema dell'equa spartizione e gestione delle risorse mondiali, presero anche atto che non sarebbe realistico chiedere ai popoli benestanti di rinunciare a qualcosa. A cosa? A un locale della propria confortevole abitazione? Alle vacanze spropositate? A una pelliccia? All'acquisto per i propri ben pasciuti bambini dei giochi inutili e dannosi? Alle pompe imperiali, papali, ridicole delle burocrazie (materiali e spirituali) dominanti? Ecc.? Pensarono a una soluzione facile - almeno sulla carta.
Poiché gli sceicchi arabi detengono il 75% del petrolio mondiale, e poiché l'Occidente vive bene solo grazie a quel petrolio, anzi non può vivere senza quel petrolio, l'Occidente medesimo offre una maggiorazione almeno del 100% dell'attuale costo del petrolio grezzo agli sceicchi, obbligandoli, anche con la forza se necessario, a distribuire il maggior guadagno ai loro popoli - promuovendo benessere, ancorché misurato, istruzione,
tecnologia avanzata, salute...Il maggior costo dell'energia d'altro canto automaticamente ridimensiona il benessere occidentale, riequilibrando i rapporti economico-vitali fra quel famoso 20% e l'altrettanto (meno) famoso (più) forzatamente silenzioso 80%. Così fece il governo mondiale degli intellettuali saggi. Ci fu qualche scontro con gli sceicchi, ma in fondo quelli non perdevano un granché. I loro popoli incominciarono a intravedere una speranza di riscatto - o almeno di sopravvivenza.
4. Il risveglio.
Sempre nel sogno, ahimé, mi risvegliai. Il nuovo ordine economico mondiale mise, non certo nella miseria, ma in serie ristrettezze le popolazioni occidentali.E tali ristrettezze crearono pian piano drammi inimmagginabili.
L'Occidente diventò meno ricco, ma si ripetè in occidente quello che in passato era avvenuto nel resto del mondo. I potenti, i mafiosi, le multinazionali, i ricchi ereditari persero almeno la metà delle loro ricchezze.
Ma non fu una vera tragedia: i magnati si trovarono con diversi miliardi di meno, ma con quelli che a loro restavano potevano vivere altrettanto bene come nel passato. Qualche soldo di meno nei forzieri nascosti, ma infine tutto andava come prima. La minor ricchezza dell'Occidente si scaricò sul proletariato e la piccola borghesia. Chi era sopravvisuto decentemente con due o tre milioni di lire al mese, si trovò improvvisamente dimezzato l'unico introito a causa del raddoppio del costo dell'energia. E la disoccupazione dilagò.
In breve il terrorismo si spostò dai paesi poveri di una volta, ai paesi dell'Occidente. Marce, scioperi, rivolte, rivoluzioni, massacri... e così via. L'occidente ritornava al Medioevo. Comunque i ricchi occidentali e gli sceicchi, pur con qualche torre di meno e qualche licenziamento di odalische, amanti, servi, marinai, continuarono a vivere come prima. E a fare affari insieme. Giudicando (moralisti com'erano e come sono) assai disdicevole l'incapacità dei poveri occidentali di sopportare qualche sacrificio a favore del resto del mondo.
5. Morale della favola.
Quasiasi questione, spirituale o materiale, si sorreggge su di un principio (ahinoi, a quanto pare, inalienabile): la contrapposizione fra i ricchi e i poveri. (per i ricchi produttiva e quindi, per loro, egosticamente irrinunciabile).
6. Che fare?
Ciascuno di noi, uno per uno, faccia il suo esame di coscienza e faccia le scelte che ritiene migliori per sé e per gli altri. Ma, per cortesia, nessuno rompa più i coglioni con moralismi ipocriti e bugiardi. Con patriottismi e pietà di maniera. Con rivolte carnevalesche. E per quanto ci riguarda da vicino, i Berlusconi e i D'Alema e gli Agnelli e i Papi di turno facciano i loro affari come hanno bestialmente sempre fatto, ma ci risparmino le loro buffonate telematiche (se non riescono a risparmiarci il loro criminale egoismo). Per quel che serve comunque, quelli di noi che sono sicuri di non sfruttare il proprio prossimo (ce ne sono? chi sono?) gridino pure a squarciagola: ABBASSO LA GUERRA! ABBASSO LA CRIMINALE GLOBALIZZAZIONE! ABBASSO IL TERRORISMO. E magari anche EVVIVA QUELLI CHE NEGLI USA E NELL'EUROPA RICCHISSIME SOFFRONO NELL'EMARGINAZIONE!
Se questo sarà il grido degli uomini occidentali onesti e di buona volontà, poiché solo a loro dovrebbe essere permesso di gridare, non credo, purtroppo, che in avvenire ci sarà molto rumore. Il rumore, e l'ora sarà ancor più tragica, lo faranno i popoli disperati e migranti alla ricerca di una inesistente terra promessa.
15 novembre 2001
ultimo aggiornamento:
giovedì 29 novembre 2001 0.39.22
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