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"Da Lalique a Picasso, se i gioielli sono arte"

Giuseppina Rocca

Il Messaggero - 30 aprile 2001


Da Firenze

Diceva con civetteria Peggy Guggenheim: «Metto un orecchino di Calder e uno di Tanguy per dimostrare la mia imparzialità tra l’astratto e il surrealismo». Fu un’altra regina dell’arte, questa volta di casa nostra, Palma Bucarelli, a capire l’importanza del gioiello d’autore e a lanciarlo per prima in Italia. Due grandi donne che hanno scritto con la loro sensibilità la storia di artisti divenuti famosi. La mostra al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, dove è conservata la collezione di Anna Maria Luisa de’ Medici, rende omaggio a queste due protagoniste dell’arte, esponendo alcuni esemplari a loro appartenuti, prestati dagli eredi. Della Bucarelli c’è l’anello firmato da Umberto Mastroianni e la collana da Giò Pomodoro, monili particolarmente cari alla direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma. Intitolata "L’arte del gioiello e il gioiello d’artista dal ’900 a oggi" (fino al 19 giugno, catalogo Giunti, 478 pagine, 120.000 lire), l’esposizione è curata da Marilena Mosco, che ha voluto in questa occasione proporre una panoramica come non si era mai vista. Una volta sola fu presentata in forma ridotta in Europa, a Londra nel lontano 1961.
Sono duecentottanta esemplari (provenienti da raccolte pubbliche e private quali le Fondazioni Asenbaum di Vienna e la Gulbenkian di Lisbona che possiede la più esclusiva collezione di Lalique) che vanno dai più rari esemplari dell’Art Nouveau a quelli contemporanei. Da Picasso a Derain, da Max Ernst a Jean Arp, da Cocteau, Dalí, Calder e De Chirico, fino a Man Ray, Giacometti, César, Arman, Lichtenstein e Niki de Saint-Phalle: sono solo alcuni dei nomi che hanno lasciato il loro inconfondibile segno su oggetti che possono essere equiparati a minisculture.
Ornamento prezioso emotivamente e fortemente voluto, status symbol dell’upper-class, ma anche e soprattutto specchio dell’epoca in cui sono stati creati, raccontano, tra le pieghe di luci cristalline o tra i fondali verde smeraldo, mondi lontani, fastosi, irraggiungibili. E narrano storie comuni di tutti i giorni di sogni appagati di una società diventata di massa, ma non per questo meno attratta dal fascino delle gemme, magari false purché sfavillanti, da far brillare intorno a un volto, una mano, un polso per arricchirli di significati e attese.
Il gioiello è un’arte che si perde nei millenni. Amavano gli ori le donne delle antiche civiltà e li amano le donne di oggi. Per loro, per esaltarne la bellezza e il fascino, orafi e artisti di ogni epoca hanno disegnato e cesellato pezzi unici. Appunto da museo. Tuttavia, i gioielli possono essere visti come espressione d’arte? E’ questo appunto l’obiettivo della mostra fiorentina: dimostrare come in alcuni casi non si possa parlare di bigiotteria, ma di un vero e proprio piccolo capolavoro di grande livello estetico. Sarà a partire dai primi del Novecento che si assisterà a una rivoluzione del gioiello influenzato dalle avanguardie che modificheranno insieme con la pittura i comportamenti e il gusto di tutta la società. E come era già successo per l’arte sarà sempre la Francia a dettare quelle che diventeranno le nuove tendenze, grazie anche a un vetraio geniale: René Lalique, il primo a intuire che i tempi erano maturi per un cambiamento. Convince i suoi ricchissimi clienti (tra questi il magnate del petrolio Gulbenkian) che le pietre preziose dovevano essere sostituite da quelle semipreziose e che i materiali poveri, corno, smalto e vetro dovevano perdere la propria rigidità e potevano diventare un bene di lusso. L’aristocrazia e le case regnanti cadono ai suoi piedi e il gusto del gioiello non sarà più lo stesso. Il risultato è strepitoso e lo dimostrano quelle donne-allegoria, metà donna metà animali o fiori, misteriose e inquietanti, dalla sensualità perturbante, esposte a Pitti. Con Lalique nasce il bijoutier, una figura fino allora sconosciuta che si può permettere voli di fantasia paragonabili solo a un grande artista. E’ solo l’inizio. Ben presto anche il joaillier capisce che per accontentare la sua esclusiva clientela non basta più la ricchezza del diamante, di zaffiri o smeraldi sebbene di molti carati, ma che questi, per avere successo, dovranno essere uniti al design. Nel 1925, a Parigi s’inaugura una mostra sul gioiello Déco e la tradizione del monile conoscerà un nuovo Rinascimento.

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ultimo aggiornamento: martedì 1 maggio 2001 14.44.58
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