I poeti della crisi: Nadia Cavalera, Franco Capasso, Franco Ceravolo
Davide Argnani
Risvolti n°3 - dicembre 1999
Oggi dentro la poesia ci sta un po' tutto e un po'niente. Il vuoto e il pieno. Non esiste misura. Anche il poeta ha smarrito la propria identità. La forza che lo spronava a essere diverso, a dire quale piega avrebbe preso la vita e quale no, quale essere o non essere bisognava rincorrere, oggi non assale più il poeta. Cammina stanco il secolo o il millennio sulla china della nostalgia o della retorica e il caos immortala anche i poeti. Anche i poeti sembrano nascondersi dentro a una medesima lingua omologata. E se il linguaggio potrà diventare globale, globali saranno le azioni e globale risulterà essere il senso del nulla, il nulla inteso secondo le tesi del cinismo, ma non del nichilismo. La cosa, oggi, che dovrebbe mettere più paura a tutti dovrebbe essere l'infestazione delle testate nucleari e quella della nuclearizzazione del linguaggio. Tutto questo nel senso che tutto ciò porta alla deflagrazione e alla morte. È ovvio che la storia insegni che nei riti di passaggio, .cioè durante i cambiamenti epocali, a fare da padrone sia sempre stata la violenza intesa come rivoluzione, come capovolgimento, come ribellione, come rinnovamento... ma può essere altrettanto ovvio che l'infestazione nucleare dell'irrazionale conduca alla fine totale della comprensione e della comunicazione, alla morte. La tragedia, per la poesia, sta nel fatto che il poeta può trovarsi sempre sull'orlo del suicidio anche quando la poesia può riscattare il suo presente e il suo futuro senza compromessi. Insomma, la poesia e la vita non si fanno con "l'immaginazione al potere" ma con il "tipo" di comunicazione che scaturisce dalla propria scrittura. La scrittura è lo specchio dell'anima dell'autore ma in poesia essa rappresenta il bulino essenziale della verità. Volendo c dovendo, per cenni, tentare una rappresentazione interpretativa di pochi testi di alcuni poeti, diversi fra loro ma in sintonia per intenti comunicativi e per provocazione stilistica come sono Nadia Cavalera, Franco Capasso e Franco Ceravolo, tenterò, sperando di riuscirci, una comparazione più esplicita della scrittura e del sintagma.
DICIIIARO CHE IO SONO IO
NADIA CAVALERA non avrebbe bisogno di dichiararsi perché la sua scrittura appare
subito nettamente al di là dell'usura quotidiana del linguaggio obsoleto in atto. È una scrittura
destabilizzante perché inusuale rispetto ai canoni della babele del linguaggio vigente. Scrittura
tormentata perché scaturita dalla coscienza di un quotidiano che esiste dentro. Quindi niente
decantazioni, né soliloqui o scontate nenie. C'è il vento di un verso "sovversivo" sufficiente
per liberarsi da "uno sguardo pensato parlato" per far valere fino in fondo il "peso" del proprio "dire". Un linguaggio misto, friabile, ma che sa cagliarsi in presa diretta appena l'alchimia
della "propria fisionomia" esige di ritrovare la "faccia più vera" di un "pensato parlato" che
coglie l'amalgama delle origini tra argot, riporto ètranger e ironiche acrobazie linguistiche.
Tornano le parole, a scavare, a scorticare, a colpire la durezza delle cose... ("in una posizione
del più recente, sano femminismo"), come dichiara la Cavalera stessa, e in una situazione dei
tempi sempre più precaria. "Io sono io" segna la volontà e la crudezza di una posizione essenziale del linguaggio che, proprio oggi, non può mancare.
[…]
da RISVOLTI, n.3 (dicembre 1999)
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ultimo aggiornamento:
martedì 30 novembre 2004 20.55.05